Il partito Democratico non intende sloggiare ma portare avanti il governo sino a quando potrà e al costo di avallare tutte le proposte dal partito di Grillo. Quando gli ricapiterà un'occasione come questa?
Roma – Quando la delusione è forte, la reazione può sembrare scomposta ed eccessiva. Anche se sembra solo una lite tra innamorati, la pace appare lontana. Infatti Saviano, e torniamo ancora sull’argomento, ha usato parole dure nei confronti del Partito Democratico e, in particolare, del segretario Zingaretti, schierati per il “Si” al referendum. Forse se provenissero dal centrodestra e da una piccolissima parte del Movimento 5 Stelle, rimasta coerente con i principi storici, non ci sarebbe tanta incredulità, ma se a usare parole fortissime è proprio Roberto Saviano, evidentemente la delusione e lo sconforto, per l’incomprensibile scelta fatta dal Partito Democratico, è così forte da giustificare anche i toni più irriverenti.
Numerosi i mal di pancia per il referendum. Così nel segreto dell’urna le determinazioni saranno, molto probabilmente, le più conservatrici. Basti pensare a quanti non siederanno più in Parlamento. La frase più gettonata che è circolata nei corridoi del Collegio Nazareno non lascia adito a dubbi: “Non lascio tutto il campo ai 5 Stelle, pertanto anche se può sembrare una battaglia populista il Partito Democratico voterà per la diminuzione dei parlamentari. È arrivato il momento di migliorare le istituzioni ed innovare dopo tanti anni il Parlamento...”.
Difficile seguire il ragionamento, dopo un percorso diametralmente opposto a quello che si vuole imprimere adesso. I sintomi apparenti sono di trasformismo e populismo. Infatti, lo scrittore, non è stato per nulla morbido proprio con Zingaretti. Il problema, secondo Saviano, è che si parla del referendum come se da questo evento dipendano le sorti dell’intero Paese e del mondo mentre in realtà tutto ciò non fa altro che confermare il principio secondo cui “la politica si occupa dell’inessenziale, poiché ha necessità di eludere la complessità“. Continua ironico lo scrittore: “…Quanta decisione, segretario! Quanta asciutta determinazione! Non come il politichese dedicato a chi le faceva notare che il suo partito non ha battuto ciglio quando si è trattato di rinnovare gli accordi con gli aguzzini libici contro le determinazioni della Assemblea Nazionale...”.
Nessuna risposta è giunta dal Partito Democratico. Il perché è ovvio: replicare alle posizioni di Saviano potrebbe rivelarsi un boomerang. E beccarsi una botta in fronte, di questi tempi, potrebbe causare un trauma insanabile. Politicamente parlando. Ma Stefano Ceccanti, capogruppo del Pd in Commissione Affari Costituzionali, improvvisamente, ha deciso di correre questo rischio rispondendo alle stilettate dello scrittore. E cercando di dare un senso al “nonsense” del travaglio politico dei Dem, con un’affermazione da capogiro: “…Il Pd vota ‘Sì’ per una prima riforma che apre anche ad altre, perché le istituzioni di questo Paese hanno bisogno di essere aggiornate per essere davvero utili. Per essere parte della soluzione e non del problema…“. Forse tacendo avrebbe fatto meglio?
Insomma il disegno politico è stato chiaro sin dall’inizio. Basta avere un po’ di memoria per ricordare che l’unico modo per i Dem di votare la fiducia al neo governo “giallorosso” di Conte era stato l’accordo raggiunto con i grillini per approvare in aula, prima del referendum, il sistema elettorale. Cosa ancora non avvenuta, per altro. Coerenza e lungimiranza pagano. Opportunismo e alleanze del momento fanno perdere consensi. Quando gli italiani si vedranno privati di una congrua percentuale di rappresentanti in Parlamento sapranno bene come fargliela pagare. Magari alle prossime, striminzite, elezioni.
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