Troppo comodo abusare dei soldi dei contribuenti senza dare in cambio almeno 8 ore di lavoro per pulire aiuole e marciapiedi. Il Reddito di Cittadinanza non è un sussidio a vita, meglio ricordarlo a chi ritiene di mangiare a sbafo per sempre.
Roma – Che fine ha fatto il Reddito di Cittadinanza in cambio di un lavoro per conto del proprio Comune? Per i “fortunati” beneficiari del gruzzoletto mensile era scattato, nello scorso mese di giugno, l’obbligo di svolgere, a scelta, uno dei Puc a disposizione, ovvero i Progetti di pubblica utilità previsti dal civico consesso che eroga il sostegno economico al residente che ne ha fatto richiesta. Tale obbligo era stabilito da un decreto del ministero del Lavoro già entrato in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 gennaio 2020, che imponeva ai fortunati destinatari del sussidio (quelli legittimi ovviamente) di offrire, nell’ambito del Patto per il lavoro e del Patto per l’inclusione sociale, la propria disponibilità per la partecipazione a progetti utili alla collettività. La mancata adesione al patto da parte di uno dei componenti il nucleo familiare comportava la perdita del Reddito di Cittadinanza. Tra i beneficiari del RdC sono escluse alcune categorie quali gli occupati con reddito da lavoro dipendente superiore a 8.145 euro o autonomo superiore a 4.800 euro, gli studenti; i beneficiari della pensione di cittadinanza, gli over 65, le persone con disabilità e i componenti del nucleo familiare che hanno incarichi di cura verso bambini piccoli o invalidi e altre categorie.
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I Puc dovevano essere individuati a partire dai bisogni e dalle esigenze della comunità. Ovvero dall’ambito culturale a quello sociale e poi in quello ambientale, delle attività artistiche, formazione e tutela dei beni comuni. Le attività non devono coinvolgere i beneficiari del Reddito di Cittadinanza in lavori od opere pubbliche, né gli stessi beneficiari del RdC possono svolgere mansioni in sostituzione di personale dipendente dall’ente pubblico o dal soggetto del privato sociale. Insomma dette persone con sussidio non sono lavoratori subordinati o parasubordinati dunque possono svolgere l’attività lavorativa, in via esclusiva, a favore della municipalità di residenza. A fronte di un sostegno mensile si impegnano a svolgere servizi utili a tutti. Il loro impegno sarà quello di lavorare per almeno 8 ore settimanali sino ad un massimo di 16. La programmazione delle 8 ore settimanali può essere sviluppata su uno o più giorni della settimana oppure su uno o più periodi del mese, fermo rimanendo l’obbligo del totale delle ore previste nel mese, compresa la possibilità di un eventuale recupero delle ore perdute nel mese di riferimento.
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I Comuni dovranno istituire un registro dei partecipanti ai Puc in cui registrare le presenze giornaliere dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza, l’ora d’inizio e fine dell’attività. Ma quanti comuni d’Italia hanno avviato questa sorta di “avviamento al lavoro per il bene pubblico“? Pochissimi, in verità, e dire che Luigi Di Maio, in effetti l’ideatore di questa iniziativa comunque lodevole e giusta per chi prende soldi dallo Stato, si era sgolato pur di sbandierare ai quattro venti l’utilità della sua idea che sarebbe stata a tutto vantaggio degli enti locali e dei cittadini. Purtroppo si debbono registrare le solite magagne, specie nei comuni del Centro e Sud Italia: strade periferiche zeppe di arbusti e immondizie, strade interpoderali impercorribili, animali randagi in aumento, giardini pubblici e fontane ridotti a discariche, attività artistiche e culturali ridotte al lumicino e attività di formazione inesistenti. I beneficiari del RdC, però, sono puntualmente presenti quando si tratta di incassare il sussidio. Lì sono davvero precisi e non mancano un mese. Specie quelli che percepiscono il Rdc senza averne il diritto. E che sono ancora troppi.