La scuola italiana, in sofferenza da almeno una decina d'anni, non è ancora preparata ad accogliere in sicurezza alunni e insegnanti, oltre al personale non docente. Le parole del ministro Azzolina preoccupano, non rassicurano.
Roma – Per i più le vacanze sono finite o stanno per terminare, per qualcuno non sono ancora cominciate, qualcun altro non se l’è nemmeno potute permettere. Ormai mancano solo poco più di un paio di settimane all’apertura della scuola e le tensioni di quest’ultimo periodo sono tutt’altro che sopite e le polemiche divampano. Nonostante la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, rassicuri che non ci sarà nessun rischio per l’apertura dell’anno scolastico, sono in tanti a temere che possa slittare la data fissata per il prossimo 14 settembre a causa dell’aumento preoccupante e innegabile dei casi Covid-19 in Italia e per le notizie che giungono dagli altri Paesi europei.
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I ogni caso è indubbio che la riapertura a settembre delle scuole sarà legata ad una serie di cambiamenti inderogabili: banchi monoposto, mascherine, gel, distanziamento e addio alle classi “pollaio”, entrate separate, temperatura da misurare a casa ed altre regole diverse e di non facile attuazione. Insomma dobbiamo dimenticare la scuola come sin qui l’avevamo concepita. A maggior cautela, dal 24 agosto, è cominciata la campagna di screening tra il personale docente e non docente della scuola pubblica, privata, paritaria e degli asili nido, aperte agli alunni da 0 a 19 anni, su base volontaria tramite test rapido, il cosiddetto “pungi dito”. Per effettuare il test il personale scolastico dovrà rivolgersi prioritariamente al proprio medico di famiglia e, qualora questi non aderisse alla campagna, all’Asl di competenza. In caso di esito positivo sarà necessaria la conferma con il tampone rinofaringeo, a carico della locale Unità Sanitaria.
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Il progetto di screening anziché tranquillizzare gli animi ha invece accresciuto il timore tra i lavoratori della scuola sopra i 55 anni di età che non si sentono sicuri di tornare in aula, poiché la sorveglianza straordinaria è riservata solo a chi soffre di gravi patologie; d’altronde l’età media dei professori italiani è tra le più alte d’Europa. Il virus aveva messo in evidenza gli aspetti patologici della scuola italiana come le classi affollate e l’età elevata dei docenti. A questo bisogna aggiungere il fatto che negli anni passati si è investito molto poco nell’edilizia scolastica e i presidi si sono ritrovati a dover far fronte, con le attuali strutture, alle imposizioni determinate dal Covid.
Nonostante gli forzi e sebbene si debba riconoscere che oggi la scuola è più preparata rispetto all’inizio della pandemia, sono in tanti a credere che non si possa cominciare in totale sicurezza e la paura serpeggia soprattutto tra gli insegnanti più anziani della scuola dell’infanzia e primaria, dove non sempre è possibile mantenere le distanze sociali. In attesa che il legislatore valuti l’opportunità di favorire l’uscita dalla scuola, tramite prepensionamenti non eccessivamente penalizzanti, al personale scolastico non rimane altra scelta che presentarsi all’appuntamento prefissato per il suono della campanella. Ma non è difficile credere che, per quella data, potrà esserci un boom di certificati medici di “lavoratori fragili” o troppo in avanti con l’età. Staremo a vedere.
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