Renzi, subito dopo i risultati del Senato, si sfoga a "Porta a Porta": non parliamo più di Conte, parliamo di vaccini, di lavoro, di Recovery. Lo abbiamo ripetuto per mesi e siamo rimasti inascoltati. Questi sono gli argomenti che interessano gli italiani.
Roma – Il discorso di Conte è durato poco più di un’ora ed è stato interrotto da 31 applausi, 27 in più di quelli ricevuti a Montecitorio con molta meno enfasi. L’ultimo applauso, il più lungo e caloroso, con tanto di senatori Pd e M5S balzati in piedi, è stato poi seguito da qualche anonimo mugugno che ha costretto la presidente Casellati a ristabilire l’ordine in aula prima del voto.
Poi i risultati: 156 sì, 140 no e 16 astenuti, il Governo Conte passa con maggioranza relativa. Inafferrabile quota 161 che avrebbero garantito la maggioranza assoluta. Dopo 13 ore di cardiopalma è finita alle 22.30 di ieri sera la lunga giornata del Senato resa ancora più “estesa” dal senatore pentastellato Ciampolillo che ha votato in zona Cesarini.
Compatta l’astensione di Italia Viva che al primo giro non ha risposto mentre al secondo si è astenuta. Tra i voti a favore determinanti sono stati quelli dei 3 senatori a vita fra cui Liliana Segre e delle due senatrici di Forza Italia, Rossi e Polverini, che sono già state espulse dal partito.
La partita adesso si fa dura ed è ancora tutta da giocare a dimostrazione che per una maggioranza forte occorrerebbero i voti di Italia Viva che, da domani, passa all’opposizione. Conte dovrebbe comunque recarsi al Quirinale per un confronto con il capo dello Stato che non vede di buon’occhio arrivare al semestre bianco con una maggioranza risicata e che rischia di cadere a ogni votazione.
Dunque nessuna apertura a Renzi. Conte ha cercato responsabili-opportunisti a tutto spiano ma soprattutto all’interno di Italia Viva per sparigliare le carte e godersi il momento del declino renziano. Il premier comincia già ad assaporare la vendetta con estrema freddezza, soprattutto dopo i consensi raccattati in Senato.
Così si rivolge proprio all’area in cui Renzi si colloca, lasciando aperta la porta a tutti quelli di Italia Viva che vorranno separare le proprie strade da quelle del loro leader ed in particolare dalla “irresponsabilità di chi ha aperto una crisi” che il Paese, in un momento tragico come questo, non riesce a comprendere.
Il nome di Renzi non viene nominato. Conte infatti si è rivolto in particolare a quel centro riformatore, europeista, cattolico che va dai centristi a Forza Italia e che in Europa, insieme ai socialisti e ai Cinque Stelle, ha permesso l’elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Ue.
In sostanza, con grande spregiudicatezza, il premier si rivolge a quei partiti che “sono chiamati a operare una chiara scelta di campo contro le derive nazionaliste e le logiche sovraniste”. Fa impressione però una tale affermazione che proviene dalla bocca di chi è arrivato a Palazzo Chigi grazie al “matrimonio” tra M5S e Lega.
Quella stessa bocca che, nel settembre del 2018, all’assemblea generale Onu a New York, profferiva orgogliose parole di plauso per quella straordinaria compagine di governo: “…Sovranismo e populismo sono richiamati dall’articolo 1 della Costituzione italiana – diceva Conte dall’America – ed è proprio in quella previsione che interpreto il concetto di sovranità…”.
Sono passati appena due anni e quattro mesi, in politica ormai sono quasi un’era geologica, che Lega e FdI sono gli unici esclusi dall’appello del premier. Per tutti gli altri invece c’è posto con tanto di pifferi e tamburi ma non è detto ancora.
Conte tenta di aprire l’ennesima stagione riformatrice nel segno dello sviluppo sostenibile, con un nuovo programma da scrivere ed una squadra da rafforzare. Ma rilancia anche sulle riforme istituzionali, compresa la legge elettorale proporzionale, attraverso la quale si possano coniugare le ragioni del pluralismo con l’esigenza di assicurare stabilità al sistema politico.
Una rassicurazione, quest’ultima, che nasconde un progetto, ovvero farsi garante di un soggetto politico capace di rappresentare i centristi alle prossime sfide elettorali. Tutto perfetto, finché il cordone di protezione eretto intorno a lui reggerà. Sino a quando?
La fiducia della Camera è comunque un buon punto di partenza ma per Giuseppe Conte, dal voto ottenuto al Senato in poi, la strada sarà tutta in salita. Sarà uno slalom tosto nel corso del quale il capo del governo dovrà fare i conti con un rimpasto al quale ormai sembra obbligato. Un cambio della guardia che potrebbe includere anche l’opzione, forse meno gradita a Palazzo Chigi, di salire al Colle da dimissionario, con l’obiettivo di dar vita ad un Conte-ter:
”…Vedete se oggi a voi che siete in quest’aula e ai cittadini che ci seguono da casa – ha esordito Conte – posso parlare a nome di tutto il governo a testa alta non è per l’arroganza di chi ritiene di non avere mai sbagliato, ma per la consapevolezza di chi, insieme a tutta la squadra di governo, ha impegnato tutte le proprie energie fisiche e intellettive per offrire la migliore protezione possibile alla comunità nazionale…”.
Il presidente del Consiglio sente crescere le critiche, come il giorno precedente alla Camera dei Deputati, sul fatto che le opere pubbliche sono bloccate da due mesi per mancanza di commissari. Non è vero, ha dichiarato Conte, perché a parte che la lista dei commissari è pronta, le opere sono state bloccate perché abbiamo applicato l’articolo 2 del Dl semplificazioni che dà poteri speciali ai commissari.
Superato ad ogni modo lo scoglio di ieri sera i numeri del Senato preoccupano Giuseppe Conte e l’obiettivo di rendere irrilevante Italia Viva appare, per ora, tutt’altro che a portata di mano. Nella strategia di Conte, infatti, il traguardo massimo, a Palazzo Madama, doveva essere quello di incassare una differenza, tra i sì alla fiducia e i voti dell’opposizione, superiore alle 18 unità ovvero il numero di senatori di Italia Viva.
I numeri, a conti fatti, rimangono impietosi. Per questo motivo si attendono le determinazioni di Sergio Mattarella. C’è chi sostiene che le mire di Conte e del Pd siano dirette a spaccare il gruppo di Renzi e riportarne un pezzo dentro il Pd e la maggioranza.
Certo è che la decisione di Italia Viva di astenersi nei due rami del Parlamento ha fatto venir meno la possibilità della caduta repentina del governo e di una conseguente possibile fine della legislatura, togliendo quindi ai molti senatori e deputati la fretta di dover decidere e scoprirsi subito. Comunque stiano le cose e mentre la situazione del Bel Paese è catastrofica, ariecco Conte…
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