Riforme e Pnrr: promesse da mantenere, l’economia non aspetta

Riforme urgenti e concrete: il Piano di Ripresa e Resilienza è la chiave per l’economia italiana. Il presidente di Confindustria richiama il governo all’azione per il riscatto del Paese.

Roma – Tutti i governi appena insediati parlano sempre di riforme, salvo poi fare al massimo qualche ritocco normativo sgangherato e condizionato dai fondi economici a disposizione. Però adesso c’è il Pnrr ed è tutt’altra storia rispetto ai precedenti impegni e programmi. Insomma di riforme ne sentiamo parlare da oltre 40 anni e di autentico è stato fatto ben poco. Oggi attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza le risorse ci sono. Le modifiche dunque vanno fatte ma ancora nulla di concreto o, meglio, se ne parla soltanto, senza che sia stato posto in essere un progetto vero, rispettando termini e condizioni. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, per questi motivi, richiama il governo e la maggioranza affinchè tengano fede alle promesse fatte perché l’economia non aspetta.

Il Piano per essere efficace deve proiettarsi verso una dimensione che incida sulle diseguaglianze territoriali, eliminando inefficienze ataviche che scorrono lungo il binario ideale che attraversa la penisola italiana, colmando il gap di un Paese a due velocità. Insomma, il mancato riscatto del Sud del Paese blocca l’eventuale fluidità dei meccanismi economici di sviluppo e progettualità. Non è un caso, infatti, che al sud sono stati destinati il 40% delle risorse del Pnrr.

Insomma, tutto va a rotoli se non prevale la competenza e la serietà.

“La crescita sta rallentando ed era il motivo per cui già lo scorso anno chiedevamo una politica per le famiglie a basso reddito e per stimolare gli investimenti – afferma il leader degli industriali italiani – in ogni caso la situazione non è affrontata con il piglio giusto”.

Confindustria critica la gestione del Pnrr

Pause di riflessione, monitoraggio dei progetti cantierabili, rallentamenti, divisioni si scaricano sul Paese che non merita questa perdita di tempo. Nel mirino, di Bonomi, c’è soprattutto la gestione del Pnrr, anche se il bersaglio è individuato nelle origini:

“Per noi, afferma, il Pnrr era sbagliato all’origine. Abbiamo sempre contestato l’impostazione data dal governo Conte al Piano. Doveva essere sostegno ai finanziamenti pubblici in aggiunta a quelli già preventivati dai paesi. Il problema è che questo Paese ci mette 15 anni a fare una opera pubblica, quindi non ha tempi compatibili”.

In pratica, viene contestata l’affermazione dilagante e ripetuta da ogni membro dell’esecutivo, che si “sono aperti i cassetti dei progetti e li abbiamo messi in campo”. Bonomi, nel corso di una manifestazione di confindustria, ha anche posto l’accenno sul salario minimo, oggetto di scontro tra maggioranza e opposizione, affermando che

Dubbi sul salario minimo

“…si parla di un salario minimo di 9 euro, ma non si sa da dove sia nato questo dato. Tutti i contratti siglati da Confindustria sono sopra ai 9 euro. Questo dimostra che la contrattazione collettiva è un valore aggiunto, in quanto si ottiene di più rispetto alla decretazione. Ci sono settori dove si paga poco…? Si, ma quali sono…? Avete paura a dirlo. Noi lo sappiamo e sono: commercio, servizi, cooperative e finte cooperative. Perché non si fa…? Si ha paura di dire chi paga poco perché quella è una base elettorale. Volete fare il salario minimo…? Ma dite la verità”.

Parole ed affermazioni che tolgono il fiato e donano una luce diversa sulle tante prospettazioni che vengono fatte. Certamente la bontà di un minimo salariale fa sentire protetti i destinatari della nuova proposta formulata da parte di alcune forze dell’opposizione, i quali da tempo avvertono come sia cambiata l’azione di ogni sindacato, però il respiro si fa corto se si analizza con dati alla mano l’eventuale strumentalizzazione della proposta. Sarebbe auspicabile maggiore chiarezza da parte di tutti i protagonisti della politica, di destra come di sinistra e da parte delle organizzazioni a “tutela dei lavoratori”.

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