Abrogazione del reato di abuso d’ufficio, introduzione dell’interrogatorio preventivo e modifiche a intercettazioni e informazione di garanzia. Questi alcuni punti della riforma della giustizia penale che rischia di mettere in seria discussione i punti cardine di una giurisprudenza dura nei confronti della criminalità organizzata. Ora si attende l’intervento della Meloni che difende il concorso esterno in associazione mafiosa.
Roma – Le situazioni di emergenza si affrontano sempre con ordinaria lucidità, senza farsi trascinare dall’emotività che possono suscitare certi eventi. La riforma della giustizia è un dossier perennemente aperto, che non può essere lasciato ad interpretazioni o innovative sentenze, anche se della Cassazione, che possono influire in modo dirompente sui reati collegati ad ogni forma di associazione criminale, sia essa camorristica, mafiosa o di qualunque altra origine e provenienza territoriale.
Così, durante l’ultimo Consiglio dei ministri, la premier è intervenuta per annunciare che a breve, “d’intesa con il ministro della Giustizia”, sarà messa a punto una norma di interpretazione autentica, che chiarisca una volta per tutte cosa debba intendersi per “reati di criminalità organizzata” e che si eviti che gravi reati vadano impuniti per effetto dell’interpretazione di recente avanzata dalla Corte di Cassazione.
Il fatto è molto delicato e non può “spararsi” nel mucchio, con il rischio di generalizzare troppo a discapito non solo dei fatti, che rappresentano sempre un “unicum”, ma, soprattutto, creare delle norme giuridiche mostruose che prescindono dal capo di imputazione. Ciò sarebbe vera emergenza sociale, che sicuramente non può caratterizzare uno stato di diritto.
Attenzione, dunque, ad interpretazioni forzate ed illegittime. Il fatto è che per i reati di criminalità organizzata è consentito un uso più esteso e incisivo degli strumenti di indagine, considerata la difficoltà di rintracciarne le prove. Fino a poco tempo fa, infatti, l’interpretazione del concetto di criminalità organizzata era chiaro, ma una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34895 del 2022, lo ha posto seriamente in dubbio.
Il problema ora è non farsi trascinare da una fascinazione narrativa dei fatti, troppo genericamente affrontati. In definitiva la Corte di legittimità ha affermato che “possono farsi rientrare nella nozione di delitti di criminalità organizzata solo fattispecie criminose associative, comuni e no, con la conseguenza che devono escludersi dal regime per essi previsti i reati di per sé non associativi, come un omicidio, per quanto commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dal suddetto articolo. In altre parole – ha detto la premier nella sua riflessione ad inizio del CdM – “
Un omicidio commesso avvalendosi di modalità mafiose o commesso al fine di agevolare un’associazione criminale non sarebbe un delitto di criminalità organizzata, almeno secondo la Cassazione”. In sostanza, la vera preoccupazione di Meloni è che la sentenza che ha ad oggetto il regime delle intercettazioni ambientali, afferma principi di carattere generale, che possono scuotere dalle radici tutta una impalcatura giurisprudenziale e la normativa vigente.
Però non si può neanche pensare di aggirare la mancata contestazione associativa, facendo rientrare la vicenda ugualmente in essa, senza neanche la contestazione dell’aggravante mafiosa ex art. 7 d.l. n. 152 del 13 maggio 1991 convertito in legge n. 203 del 12 luglio 1991, che di per sé è, comunque, inafferrabile poiché se non lo fosse sarebbe più semplice tipizzare il reato con il 416 bis del c.p. Il vero problema, al di là dei casi singoli, è che determinate sentenze possono creare dei pericolosi precedenti, per il sistema giuridico e per la pubblica sicurezza ma sollevano anche la debolezza di certe indagini. Inutile nasconderlo.
Peraltro, lasciando da parte ogni considerazione di merito, appare evidente come questa decisione possa produrre effetti dirompenti su processi in corso per reati gravissimi. Infatti, adottando questo orientamento, per i fatti già commessi verrebbe a cadere tutto il materiale probatorio acquisito sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale precedente, che consentiva l’utilizzo degli strumenti previsti per la lotta alla criminalità organizzata anche in assenza della contestazione del reato associativo.
Per carità, nessuno stupore è concesso, soprattutto agli addetti ai lavori, in quanto non è la prima volta che sentenze della Suprema Corte condizionano una normativa, solo sulla base di valutazioni e decisioni contenute in alcune sentenze. Nello specifico non siamo difronte alle “sezioni unite”, ma il problema si determina ugualmente ed è stato giusto sollevarlo dal punto di vista giurisprudenziale. Ora la parola alla politica.