Genova – Riaperto il caso Borrelli: nuova testimonianza inchioda il primario?

Dopo 27 anni un ricordo d’infanzia potrebbe finalmente dare un colpevole al famigerato “delitto del trapano”. Il raccapricciante omicidio dell’infermiera tormentata dai debiti e costretta a prostituirsi sarebbe stato compiuto dal primario dell’ospedale, ora deceduto. Il mostro, ricordiamolo, si nasconde spesso dietro la facciata della rispettabilità.

Genova – “Mia madre, amica e collega della vittima, mi disse che Luigia aveva una relazione con un primario. Subito dopo l’assassinio il professore era arrivato in reparto con vari graffi, tanto che gli hanno chiesto se avesse litigato con il gatto“. Queste esigue righe contenenti un ricordo d’infanzia potrebbero risolvere l’enigma di un omicidio orripilante avvenuto quasi trent’anni fa. E’ la testimonianza di un’amica della vittima, Luigia Borelli, brutalmente massacrata con un trapano in un delitto da film dell’orrore. Dopo anni di piste vuote e ben tre suicidi collaterali, il volto del mostro potrebbe essere quello dell’insospettabile e rispettabile primario dell’ospedale. Mentre si discute se riesumare il corpo del sospettato per il test del DNA, ripercorriamo una vicenda che vede come vittima, ancora una volta, una donna sola e disperata.

Luigia Borrelli
La vittima: madre di famiglia, ma anche donna di malaffare

Luigia/Antonella: la donna che visse due vite

Luigia Borrelli proveniva dalla Sardegna, ed era venuta a Genova – città con cui l’isola dei Nuraghi ha una relazione speciale – in cerca di fortuna. Non sapeva che nel capoluogo ligure avrebbe trovato sofferenza, disperazione e infine una morte orribile.

Luigia trova impiego come infermiera nell’ospedale San Martino. Conosce un uomo, Mario Arnaldo Andreini, con cui inizia una relazione che diventa matrimonio e porta alla nascita di due bambini, Francesca a Roberto. Mario fa il magazziniere: un lavoro umile, faticoso e frustrante, ma cova la speranza di una vita migliore. Vuole cambiare ceto sociale: e la sua strategia per il successo è aprire un bar.

Con i propri magri risparmi, Mario ne rileva uno. Tuttavia il locale è in pessime condizioni e va ristrutturato: la banca, a causa della scarsità di garanzie, rifiuta un prestito. Mario non ha scelta: per preservare il proprio investimento è costretto a ricorrere agli strozzini. Accumula un debito mostruoso – 250 milioni di lire, più di 100.000 euro. Decenni di stipendio da magazziniere.

Mario non ha comunque l’occasione di provare a ripagare gli strozzini, perché nel ’92 muore, ancora giovane, d’infarto. Il debito cade interamente sulle spalle di Luigia. Un disastro: ci sono, oltre agli usurai, i ragazzi da sfamare. La donna, a sua volta, ritiene di non avere scelta: diventa Antonella, nome d’arte da prostituta che, spregiudicata e forse con un certo gusto, si era fatto un certo nome nei carruggi malfamati di Genova.

Nessuno sospetterà mai che Luigia, l’ex infermiera che sopravviveva – così sapevano i vicini – prestando cure agli anziani, si guadagnasse da vivere così. Sarà invece la signora Adriana, ex-prostituta e proprietaria della stanza in cui Luigia esercitava il mestiere, a ritrovarne il cadavere, con un trapano verde conficcato in gola.

Il delitto, le indagini a vuoto

Scena del crimine Borrelli
Una cassetta pornografica, tappeto a fiori, sigaretta, drink: la squallida stanzetta che fu il luogo del delitto è il lupanare dove Luigia accoglieva i suoi clienti, con la compiacenza dell’ex prostituta Adriana Fravega

Un omicidio efferato: dopo una serie di strattoni e un violento olocausto inflitto con uno sgabello, l’omicida concludeva il suo lavoro con il trapano, e non sazio di sangue, infieriva sul corpo con 12 perforazioni, massacrando gli organi vitali. Tracce organiche sotto le unghie lasciano pensare che la vittima si sia difesa graffiando. Una colluttazione violenta degenerata in un overkill maniacale: questa la ricostruzione del Pm Patrizia Petruzziello, che ricorderà la scena del crimine come una delle più truculente della propria carriera.

L’impatto è devastante soprattutto sui figli, che vengono improvvisamente a sapere della doppia vita della madre: i ritardi e le assenza continue della donna trovano una spiegazione, e le storie sulla stramba vecchia che le toccava accudire emergono per quel che sono: consumate bugie. Il suo numero di telefono, lasciato ai ragazzi nel caso facesse tardi, era proprio quello della maitre Adriana. E quello che è peggio: gli inquirenti non sanno dove andare a parare. Hanno solo un traccia: il DNA ritrovato su delle sigarette, ma Luigia (e, a quanto pare, anche Antonella) non fumava.

La prima pista è legata al figlio Roberto. Litigava spesso con la madre: nullafacente, disoccupato, sempre fuori fino a notte fonda e sempre a letto fino a tardi al mattino. L’impressione di un poco di buono che si rafforza quando si scopre che è vicino ad ambienti legati alla piccola mala. Pare si menassero. Forse aveva scoperto lo stile di vita della madre e la vergogna lo aveva spinto al gesto folle? Ma nonostante i lunghi interrogatori, emerge subito che il ragazzo non c’entra niente.

I carruggi malfamati di Genova

La seconda è legata, invece, al proprietario del trapano. Risponde al nome di Ottavio Salis e fa l’elettricista. A segnalarlo è proprio la signora Adriana. Aveva svolto dei lavori proprio in quella stanza, e l’anziana proprietaria aveva ragione di supporre che Luigia/Antonella lo avesse pagato in natura. Un cliente geloso, dunque? Sta di fatto che, quando la polizia piomba su di lui, Ottavio va nel panico. Dà risposte contraddittorie, la sua versione non sta in piedi: dal suo ultimo avvistamento il pomeriggio a quando torna a casa c’è un buco di due ore che corrisponde esattamente – guarda caso – all’orario dell’omicidio. Ma c’è di più: Ottavio presenta dei tagli sulle braccia – compatibili con la versione del litigo e della lotta prima del delitto.

La catena di suicidi

Ottavio non regge la pressione mediatica – la vergogna di essere additato in tutta Italia come puttaniere e probabile omicida. Decide di sparire: due giorni dopo, con una scusa, esce di casa, e s’incammina su una strada sopraelevata per poi buttarsi nel vuoto. I vigili del Fuoco arrivano tempestivamente, allertati dalle telefonate degli automobilisti: lo trovano ancora in vita e lo portano all’ospedale, dove muore poco dopo. In tasca gli vengono trovati dei bigliettini con una serie di messaggi strazianti:

Baci a tutti, a te Patrizia studia e prendi la laurea. A te Giuseppe sii sempre bravo come sei sempre stato. Teresa, resta sempre vicina ai nostri bambini. Ora vi abbraccio tutti. Ottavio

Teresa perdonami per tutto il male che ti ho fatto. Non sapevo che tu eri… Resta sempre brava come sei. Ti abbraccio. Ottavio

Maresciallo Piu, fai che la mia morte non sia stata vana. Cerca l’assassino di Antonella. Io sono innocente. So che lo troverete”.

A lei avvocato. La ringrazio, ma non ce la faccio ad andare in galera innocente.

Saluto tutti gli amici, sappiate che non ho fatto niente di male.

La tragedia di Luigia si fonde dunque con quella di Ottavio. Una tragedia assurdamente evitabile: otto giorni dopo il test DNA darà piena conferma del fatto che l’assassino della Borrelli non è lui. L’estremità del suo gesto, la grafia tremolante di chi non è abituato a scrivere e la semplice umanità della lettera scuoteranno profondamente l’opinione pubblica.

Il dolore crea altro dolore, e la catena di vittime non si interrompe. La prossima sarà proprio Adriana Fravega, l’anziana ex-prostituta, ad uccidersi con una overdose di barbiturici. Non sopporta il senso di colpa per avere fatto il nome di un innocente alla polizia, portando accidentalmente alla sua evitabile morte: la sorella assicura che era caduta in depressione.

Roberto Andreini, figlio di Luigia Borrelli
Roberto, figlio di Luigia, non si è mai ripreso dalla morte precoce del padre e da quella assurda della madre. Si toglie la vita nel 2014, a malapena quarantenne.

L’ultimo suicidio, ancora più tragico, è quello datato 2014, del figlio di Luigia. Sui giornali locali è riportato che un uomo, indicato come figlio della Borrelli, si è ucciso lanciandosi da un cavalcavia, la stessa sorte atroce toccata all’elettricista Ottavio. Il nome riportato è quello di Antonio A. Nome che stupisce perché sappiamo che Luigia aveva due figli: Roberto e Francesca. Possiamo ipotizzare che la vittima in realtà sia Roberto, il figlio un po’ pigro e forse smarrito nella vita, dopo la morte del padre e la rovina economica, il cui vero nominativo è stato cambiato per questioni di privacy. Un orfano ucciso dalla depressione e dalla solitudine generata da quell’evento atroce.

27 anni dopo – il vero colpevole?

Nel 2004 il “killer del trapano” si sarebbe fatto vivo. O almeno così pensano gli inquirenti: la lettera anonima fatta recapitare al Pm presenta dettagli che, escludendo l’investigatore, solo l’omicida poteva conoscere.

Sono io il mostro del trapano. Anni fa ho compiuto un omicidio, non sono mai stato preso. Ho paura di finire per sempre in galera, la mia vita sta cambiando.”

L’autore della lettera afferma di essere nordafricano: con ogni probabilità, una menzogna. Il resto è, quasi certamente, autentico. Una confessione da cui trapela un intenso senso di colpa da parte dell’omicida, al punto da generare in lui l’urgenza di comunicare, in qualche modo, il proprio peso. Senza toglierli l’astuzia, comunque, di cancellare ogni possibile traccia – anche biologica – attraverso cui la lettera sarebbe potuta essere lo strumento attraverso il quale risalire alla sua identità.

Da allora le indagini non hanno fatto progressi. Qualcuno ha ipotizzato l’intervento di un serial killer. Si fanno i nomi di Sergio Truglio e Donato Bilancia, assassini di prostitute: ma nessuno di loro confessa, né vengono trovate prove di alcun genere. Si setaccia il mondo della prostituzione, ma senza successo. Anche la pista di un delitto legato al mondo della droga (Luigia assumeva forse cocaina) sono rimaste sterili. Si è rivelata più lungimirante l’ipotesi del commissario Silvio Bozzi, che sosteneva un movente legato all’usura. Ipotizzò anche il coinvolgimento di due assassini.

Infine, l’ultimo capitolo: un ricordo d’infanzia attraverso cui una donna – figlia di una collega di “Antonella” – rammenta di come sua madre le avesse raccontato che il primario dell’ospedale aveva una relazione extra-coniugale con la vittima:

Mia madre, amica e collega della vittima, mi disse che Luigia aveva una relazione con un primario. Subito dopo l’assassinio il professore era arrivato in reparto con vari graffi, tanto che gli hanno chiesto se avesse litigato con il gatto

Trapano arma del delitto Borrelli
Il famoso trapano potrebbe non essere stata l’unica arma del delitto.

Questa rivelazione avvalla l’ipotesi che il taglio al collo sia stata in realtà inferto con un bisturi, lama più leggera e discreta da portarsi in giro rispetto ad un coltello. Il trapano sarebbe stato utilizzato, immediatamente dopo, per inquinare le prove depistando così le indagini: strategia che restituisce l’immagine di un killer molto più razionale e calcolatore di quanto si sia inizialmente supposto.

Il movente? Il ricatto. Il medico era padre di famiglia, e “Antonella”, con ogni probabilità, lo ricattava per i soldi, minacciando di rivelare che lui era suo cliente. In un raptus, il primario avrebbe compiuto il gesto terrificante, forse premeditato, forse no.

L’omicida sarebbe dunque un medico: un uomo di buona posizione sociale, probabilmente di buona famiglia, probabilmente del tutto estraneo ad episodi del genere. La polizia avrebbe richiesto l’esumazione della salma per effettuare, finalmente, il test del DNA che darebbe giustizia ad una donna che non ha pace da 27 anni. Se confermata l’ipotesi dovrebbe farci riflettere sul fatto che il “mostro” è ovunque: anche nell’uomo più insospettabile, che magari non avrebbe neanche mai immaginato di avere il destino dell’omicida.

E soprattutto dovrebbe farci riflettere sulla condizione delle donne sole, rese vulnerabili dall’assenza di denaro, vittime della tratta della prostituzione o anche soltanto della solitudine. Donne che sono, come abbiamo visto in altre occasioni, vittime privilegiate dei mostri.

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