Al di là di qualsiasi considerazione le canzoni che si rifanno alla malavita sono una cosa ma chi esalta le azioni criminali dei boss mafiosi non può parlare di arte e cultura.
Reggio Calabria – In rete spopola un ritornello che fa venire i brividi: ”…Viva i latitanti, viva Riina, spara alla polizia…”. La voce è di Teresa Merante, 30 anni, cantante neomelodica di Sellia in provincia di Catanzaro, il cui brano ha provocato una montagna di polemiche feroci.
Polemiche che non si sono ancora sopite e che hanno contribuito ad incrementare comunque la notorietà di un’artista che si definisce folk e che rigetta al mittente l’etichetta di cantante della malavita.
In diverse canzoni della Merante si parla di crimine di quello tosto, inutile negarlo, poi saranno la minoranza del suo repertorio, come lei dice, ma anche se ce ne fosse soltanto una le opinioni non cambierebbero. Il brano peggiore è dichiaratamente un’ode a Totò Riina, morto pochi mesi prima del debutto canoro de “Il capo dei capi” che ha avuto, solo in rete, milioni di visualizzazioni.
Lasciando stare i testi e gli errori per le rime baciate a tutti i costi, il ritornello è più che esplicito: ”…Tante persone lui ha ammazzato, dei pentiti non si è scordato. Anche Buscetta tra questi c’era, uomo d’onore lui non lo era (…) Due giudici gli erano contro ed arrivò per loro il giorno. Li fece uccidere senza pietà (…) l’uomo di tanto rispetto e onore rimane chiuso a S. Vittore…”.
Ma questo genere di canzonette non offende la memoria di chi è morto ammazzato per la giustizia e la legalità?
”…Sono costretta ad intervenire per difendere la mia persona – scrive la cantante sul suo profilo Facebook – prima ancora del mio amato ruolo di cantante folk, dai molteplici attacchi mediatici e minacce di querele… Improvvisamente, infatti, scopro di essere stata etichettata come cantastorie della malavita, come divinatrice dei boss e al servizio della mafia, per alcuni brani della tradizione calabrese da me rivisitati e pubblicati sui social e sulla mia pagina YouTube…
…Le canzoni sotto accusa derivano da una lunga tradizione folkloristica che spesso si basa su storie di vissuto popolare, anche delinquenziale, di cui ho soltanto riadattato le melodie…Quanto alla canzone sul “Il Capo dei Capi“, di cui ho scritto testo e musica, ho voluto solamente raccontare in note quella che era stata la rappresentazione della famosa fiction televisiva… Le frasi incriminate sono parte di quel racconto, la cruda ricostruzione di uno spaccato della triste storia criminale che ha dilaniato la mia terra e non solo. Ma raccontare non significa condividere o considerare valore ciò che con tutta evidenza non lo è…”.
A parte che Totò Riina era originario di Corleone e non ci risulta avesse nulla a che fare con la tradizione popolare calabrese (piuttosto era in affari con la ‘ndrangheta con la quale si scambiava favori in termini di omicidi specie negli anni ’90 quando Totò ‘u curtu giunse in Calabria vestito da frate per l’agguato mortale al giudice Antonino Scopelliti) parlare di cultura e di cantastorie ci sembra francamente esagerato, se non peggio:
”…La riflessione che mi viene in mente perciò non è solo la giusta condanna per una iniziativa che offende vittime di mafia e uomini dello Stato – scrive su Fb il magistrato Sebastiano Ardita, consigliere Csm – ma la incapacità delle classi dirigenti, della cultura, di parlare alle masse di disagiati con un linguaggio semplice ma rassicurante. Il bisogno di affrontare la questione sociale – dentro cui esiste anche una questione penitenziaria – senza puzza sotto il naso: per spiegare, anche a chi non ha avuto niente, la bellezza della legalità; per far comprendere che lo Stato esiste e si preoccupa dei deboli; che la polizia e chi contrasta la mafia lo fa nell’interesse di tutti e dei nostri figli; che non esiste altro riparo per un cittadino se non quello offerto dalla legge. Dobbiamo condannare queste iniziative, ma al tempo stesso preoccuparci di abbattere quel muro e riportare al di qua i tanti che pur vivendo in un ambiente a rischio, non devono essere iscritti d’ufficio nel partito dell’antistato. Solo così questi oltraggi alla memoria rimarranno iniziative sterili e isolate…”.
Intanto a livello cautelativo e preventivo l’Associazione Fonografici Italiani avrebbe sospeso l’azienda discografica Elca Sound che pubblica i brani della cantante calabrese in attesa di chiarimenti.
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