La criminalità organizzata, adesso come non mai, ha messo le mani nel settore sanitario in tutta Italia e già da tempo. Ma con la pandemia il fenomeno ha subito una pericolosa recrudescenza da allarme rosso.
Reggio Calabria – Avevano messo le mani sull’intera Azienda Sanitaria Provinciale del capoluogo calabrese i 14 membri della ‘ndrangheta arrestati lo scorso 23 marzo dai carabinieri del Ros a Catanzaro, Bologna e nella stessa città febea.
L’ordinanza è stata emessa dal gip su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dell’aggiunto Gaetano Paci, nell’ambito dell’inchiesta riguardante la cosca Piromalli, nonché per quanto attiene alle infiltrazioni di questi ultimi nell’Asp reggina.
Le accuse sono molteplici e vanno dall’associazione mafiosa a quella per delinquere finalizzata alla corruzione, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori e traffico di influenze illecite in concorso; tutti aggravati dal metodo mafioso.
Le indagini si sono focalizzate sull’Azienda sanitaria da cui si ramifica l’intero sistema amministrativo della provincia, suddiviso nei distretti sanitari di Reggio, Tirrenico e Ionico, tutti controllati dal sistema mafioso. Del resto il fenomeno era stato più volte segnalato dagli organi di polizia e dalla stessa magistratura, specie in tempi di Covid e la prova, provata, non si è fatta attendere.
La nomina di Salvatore Barillaro, direttore del distretto Tirrenico (attualmente ai domiciliari), sarebbe avvenuta in seguito a procedure alterate su richiesta dei medici Giuseppantonio e Francesco Michele Tripodi (entrambi deceduti nel 2018).
I due, grazie alla nomina di Barillaro, avrebbero controllato l’intero distretto sanitario, sia nell’ambito dei dispositivi medici, sia in quello relativo ai trasferimenti del personale, secondo quanto emerso dall’inchiesta “Chirone”.
Francesco Michele era genero di Girolamo Piromalli, detto “Don Mommo”, mentre il figlio Fabiano altro non era che il riferimento degli assetti societari operanti nel settore sanitario della Minerva, Mct Distribution & Service srl e Lewis Medica srl.
Secondo l’accusa – mediante la Mct e alla Lewis Medica – riuscivano ad aggiudicarsi appalti di fornitura dei materiali medici nell’Asp (con l’ospedale di Gioia Tauro in testa, seguito da Polistena, Locri e l’azienda ospedaliera del capoluogo) ed in questo modo ottenevano gli ordinativi per la fornitura dei suddetti materiali, i cui proventi venivano in seguito spartiti al 50% tra la Mtc di Gioia Tauro e la Lewis Medica di Lamezia Terme.
Così facendo erano in grado di eludere disposizioni in fatto di patrimoniali.
Le aziende si assicuravano le forniture grazie a procedure di affidamento diretto e tramite un organizzato sistema di corruzione del personale medico e paramedico che si occupava dell’approvvigionamento.
Grazie alle indagini si sono potuti documentare gli assetti organizzativi dell’intera cosca Piromalli del ramo a cui fa capo il settantaseienne Giuseppe, in cui i medici Tripodi avrebbero assunto una posizione importante. Inoltre sarebbero avvenuti numerosi episodi di corruzione, tra generosi “doni” e provvigioni sulle commesse alle ditte, che si aggiravano dal 2,5% al 5% a seconda dell’ordine effettuato e della tipologia del prodotto.
Sorprendenti alcuni nomi che emergono dalle indagini, tra cui il ginecologo Antonino Coco, candidato nelle liste della Lega alle scorse regionali, che avrebbe fornito al clan il nome giusto per piazzare all’ospedale di Reggio Calabria diversi ecografi.
Insomma, è il potere del settore sanitario, dove si fanno affari a sei zeri. Un business ricco, ricchissimo. Mentre la sanità pubblica è in caduta libera.
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