I diritti delle donne non dovrebbero essere sanciti per legge con tanto di sanzioni per chi rema contro. In un paese civile nessuna differenza fra i due sessi.
Da alcuni anni si parla molto di tematiche legate al femminismo o, per dirla con un termine meno connotato, di parità di genere. È un argomeno delicato, l’Italia ancora arranca dietro a Paesi che sembrano un altro universo in questo senso, come la Finlandia o la Svezia. Fortunatamente però anche qui, dove il patriarcato ha radici profonde, qualcosa si sta muovendo.
Ne è un esempio la legge Golfo-Mosca del 2011, che sancisce delle regole anti discriminazione, in particolare per la composizione dei consigli di amministrazione in società quotate: in sostanza si è stabilita per legge una quota minima di presenza del genere meno rappresentato. Va da sé che nella maggioranza dei casi il suddetto genere sia quello femminile. Questo ha garantito alle donne un terzo di seggi, portando negli anni successivi a buoni risultati e a benefici derivanti da una maggiore differenziazione, sia di genere sia anagrafica oltre che un tasso di scolarizzazione più elevato.
Se mal recepita però, una pratica simile può comportare seri rischi. Quando un’azienda non ne vede le possibilità di miglioramento per la sua cultura interna ma solo il mero obbligo da eseguire, una quota da raggiungere per non incorrere in sanzioni, essa va a discapito della categoria che intende tutelare. Così come il femminismo di facciata da propinare sul sito istituzionale o nelle interviste, che ha il solo scopo di migliorare l’immagine aziendale, ma in profondità non cambia nulla della mentalità retrograda e maschilista che ne sta alla base.
Le donne non dovrebbero avere bisogno di leggi che garantiscano loro la possibilità di ricoprire cariche di rilievo. In un’azienda, ancora più che in altri ambiti per il ritorno economico che ne deriva, la meritocrazia dovrebbe essere imperante. Il rischio di questo tipo di leggi, è quello, nell’ambito delle decisioni per promozioni a ruoli dirigenziali per esempio, di premiare le donne perché così vuole la legge, per evitare le sanzioni o per potersi fregiare del titolo di azienda inclusiva con delle belle statistiche online. Questo non fa altro che penalizzare le donne stesse, che saranno viste non più solo con supponenza, ma anche con astio. Se una posizione di rilievo la merita un uomo, sia lui ad averla.
Ciò che deve cambiare è la mentalità di fondo, secondo la quale una donna non è in grado di fare abbastanza e, al massimo, se le si vuol dare una chance, deve essere aiutata con un “trattamento di favore”. Le donne brave e competenti ci sono, se messe nella condizione di lavorare bene, la stessa condizione che hanno gli uomini, senza la continua spada di Damocle della presupposta inferiorità che pende sopra la loro testa e che impone loro l’eccezionalità. L’unica cosa davvero necessaria è l’abbattimento del pregiudizio nella scelta, soprattutto su cariche di alto livello, quella barriera all’ingresso che viene eretta molto prima nel percorso di carriera di una donna. Non a caso, a oggi meno del 30% delle donne ricopre ruoli manageriali in azienda.
In questo senso è sicuramente vero che leggi come la Golfo-Mosca possono dare un’opportunità in più alle donne, ma allo stesso tempo rischiano di innescare una miccia ancora peggiore, oltre al far passare appunto le donne come delle “favorite” nei confronti dei colleghi, il dubbio del: Valgo davvero o sono qui solo grazie alle quote rosa? In donne cresciute in un Paese, come si diceva, fortemente gerarchico e patriarcale, dove sono da sempre abituate a essere considerate meno degli uomini, questo potrebbe minare ulteriormente la fiducia nelle loro capacità, compromettendone l’efficienza e originando così una profezia che si auto avvera.
Leggi di questo tipo non devono essere un mero palliativo a una situazione di disparità; è necessaria una reale presa di coscienza del problema affinché originino un effetto profondo, un cambio culturale che dia alle donne la possibilità di emergere e di dimostrare che non è necessaria la corsia preferenziale, perché sono perfettamente in grado di fare tutto, dal falciare l’erba del giardino a guidare un’azienda.