Quiet Quitting: di che cosa si tratta?

Sta spopolando tra i più giovani il nuovo trend del Quiet Quitting: ovvero lavorare senza “andare al di là del proprio ruolo” per contrastare il concetto per cui ”il lavoro debba coincidere con la propria vita”.

Roma – I giovani preferiscono lavorare quanto basta. É esploso in maniera repentina un nuovo fenomeno sociale che riguarda, soprattutto, i meno adulti. Il suo nome richiama alla mente le grida acute e sottili di alcuni uccelli e dei topi, lo squittio. Si tratta del Quiet Quitting e rappresenta un nuovo modo di porsi verso il lavoro, almeno da parte delle nuove generazioni.

Quiet Quitting: una ragazza buonda con capelli lunghi lavora al PC
Il Quiet Quitting è una pratica diffusa tra i giovani

Su TikTok, il nuovo social cinese che sta spopolando specie fra gli under 18, che permette di realizzare video brevi e creativi che spaziano da un argomento all’altro, il nuovo trend è diventato subito virale. Ebbene in uno di questi video c’è la descrizione di cosa sia il Quiet Quitting: si tratta di lavorare senza “andare al di là del proprio ruolo” per contrastare il concetto per cui ”il lavoro debba coincidere con la propria vita”.

Già un altro fenomeno sociale, la Great Generation (Grande Generazione), esploso nel 2021, aveva posto l’accento sulla categoria lavoro, addirittura per dimettersi dal proprio impiego e rompere i ponti col passato per cambiare radicalmente vita. Qui ci troviamo di fronte, invece, ad una visione meno radicale. Ad esempio si mira al rispetto delle condizioni e delle mansioni al momento di essere stati assunti, non fare straordinari e il diritto a potersi disconnettere.

Ovvero la vita lavorativa non deve dominare su quella privata. Si eviterebbe, secondo i cultori, il pericolo del burnout, tradotto in italiano la sindrome dello stress psicofisico legata al sovraccarico di lavoro. Come succede spesso quando si tratta di processi sociali, vengono fuori diverse visioni del mondo, a volte conflittuali, un po’ come è successo tra i datori di lavoro e i dipendenti: i primi hanno palesato più di una criticità, per cui potrebbe risultare, nei fatti, estremamente complicato stabilire con precisioni quali siano i compiti del dipendente e quando si oltrepassano. Le percezioni del dipendente e quelle del manager sicuramente non coincideranno del tutto, quindi il primo corre il rischio di essere accusato dal manager di rallentare il processo lavorativo.

Quiet Quitting: un ragazzo al PC con strumenti da lavoro sparsi su un tavolo che si regge la testa dalla disperazione
Il Quiet Quitting diminuirebbe lo stress, migliorando le performance lavorative

I fautori della tendenza hanno, invece, sostenuto con determinazione che l’adozione di un sistema di questo tipo ridurrebbe lo stress e migliorerebbe l’equilibrio psicofisico del lavoratore. Inoltre, le aziende sarebbero avvantaggiate, perché un minore stress garantisce una qualità produttiva più elevata. In un recente sondaggio effettuato lo scorso giugno di Gallup, “State of the Global Workplace, Report 2022” (Stato del Posto di Lavoro Globale, rapporto 2022) è emerso che solo il 21% si sente pienamente partecipe e soddisfatto del proprio lavoro. Quasi l’80%, invece, risulta frustrato ed infelice del lavoro che svolge.

Comunque niente di nuovo sotto il sole. Già i nostri nonni raccontavano che il giusto riposo era importante per il beneficio individuale e della propria famiglia: è con l’avvento di un capitalismo orientato ad una produzione accelerata e sopra le righe con un unico scopo (il profitto ad ogni costo) che alcuni equilibri si sono spezzati. Con comunità e famiglie che si sono disgregate, che risultano più propense all’individualismo che al gruppo. Troppo lavoro fa male alla salute, non averlo anche. Forse la via del Quiet Quitting potrebbe essere una possibilità.

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