Non c’è Governo che l’abbia abolito. E se non fosse stato per la solita caciara mediatica, spesso, nessuno si sarebbe accorto di aumenti e adeguamenti che sanno di truffa al cittadino. Come le norme che li regolano.
Se ne parla un giorno e poi tiriamo a campare. Intanto c’è chi muore di fame e chi, magari senza partecipare alle sedute, si ritrova a fine mandato con un ricco bottino e con una pensione da nababbi. Per carità se ha versato i contributi tutti soldi benedetti ma il politico di turno, con incarichi istituzionali, dovrebbe anche lavorare ovvero dovrebbe meritarseli quei soldi che strappa ai contribuenti. E poi dove sta l’equità? I poveri mortali debbono fare 40 anni e più di fatica per ritrovarsi una miseria di quiescenza mentre chi è stato sei mesi a Montecitorio si becca migliaia di euro al mese senza aver trascritto un atto parlamentare?

E se facessimo il contrario? Che ne penserebbe la Fornero? Che la politica abbia i suoi costi è scontato e non ci piove. Ma questi non debbono gravare sempre di più sul povero disgraziato che fatica ad arrivare a fine mese. E per nulla al mondo si possono più tollerare aumenti e altri leggi sciagurate che “legalizzano” le “rapine di Stato” senza che nessuno muova undito per ristabilire le regole del gioco.
Negli anni che furono ci furono diversi tentativi per rinunciare all’odioso privilegio: la prima proposta di rinuncia era stata di Giuseppe Veronesi, deputato democristiano, il quale negli anni ’50, aveva chiesto le dimissioni da parlamentare per protestare contro il vitalizio. Le dimissioni vennero respinte ed l’assegno era rimasto al suo posto. Nel 1953 fu la volta di Enrico Endrich, del Movimento sociale italiano, che avanzò la richiesta di dimissioni contro i vitalizi. Le dimissioni, ovviamente, vennero accettate dalla Camera e all’onorevole non rimase altro che fare le valigie.
Nel 1972 Endrich, dopo una fortunata tornata elettorale, diventò senatore e rimase sugli scranni per quattro anni maturando l’anzianità per il vitalizio che, tuttavia, si rifiutò di riscuotere sia da vivo che da morto. E anche la moglie del senatore rispedì al mittente la reversibilità dell’assegno per mantenere vivo il principio del marito ormai passato a miglior vita. Anche l’ex onorevole Gerry Scotti si espresse contro l’irrinunciabilità dell’assegno ma la sua protesta cadde nel vuoto nonostante l’allora premier Matteo Renzi promise di attivarsi politicamente per rendere rifiutabile il costosa rendita mensile. Da allora silenzio assoluto.

In Lombardia, per esempio, il vitalizio per i consiglieri regionali uscenti era stato abolito, giustamente, nel 2011 con una legge ad hoc. Nel marzo scorso, con un’aula gremita e silenziosa, l’odioso balzello per i contribuenti è stato reintrodotto a furor di popolo. Ovviamente gli importi sono stati aumentati e adeguati al carovita, com’è giusto che sia… Potremmo parlare dei vitalizi a carattere nazionale, regionale, provinciale e persino comunale, ma che senso avrebbe? Qui è tutto un “magna magna” come diceva Paola Cortellesi al “ministro” Antonio Albanese nel film “Come un gatto in tangenziale”.
E non c’è pericolo che qualcuno torni sui suoi passi. Però non veniteci a raccontare che non ci sono soldi per la sanità, per la scuola dell’obbligo e per il disagio sociale. Dite stronzate e ne abbiamo piene le scatole. La corda è cosi tesa che, certe volte, mi chiedo come mai non si sia ancora spezzata.