La faccenda sembra ancora in alto mare, ma le regioni del Nord tirano acqua per il proprio mulino: a Milano un pasto non costa meno di 15 euro ma a Catania davvero si pranza per molto meno? Sarebbe il caso di fare bene i conti prima di prendere cantonate cantando vittoria.
Roma – Il Governo ha dato il prima via libera alla riforma sulle Autonomie delle Regioni, ma lascia aperte ancora tante questioni cruciali. Dal ruolo del Parlamento ai Lep, i livelli di servizi e prestazioni che devono garantire i diritti sociali, fino al tema più importante: l’assegnazione delle fonti di finanziamento.
L’analisi dei contenuti del Ddl non fa che confermare il sospetto che siamo ben lungi da una conclusione, non solo del processo, ma anche del dibattito. Perché i nodi ancora irrisolti sono parecchi. Il centrodestra, comunque, esulta per il provvedimento, ma dalle opposizioni frenano spingendo a fondo sul pedale.
L’entusiasmo della Lega sul disegno di legge Calderoli approvato dal Consiglio dei ministri appare fuori luogo, anche se comprensibile, ma certifica soltanto che al Carroccio hanno concesso di piantare una bandierina elettorale alla vigilia del voto in Lombardia. Uno spot che non conclude nulla, poiché il problema è come fare la riforma. Insomma affrontare in questo modo l’autonomia, senza stabilire la road map, significa rinviarla sine die.
Per qualche esponente di Azione, come Mariastella Gelmini, la vicenda appare complicata. “Anche ammesso che gli alleati assicurino alla Lega una serena navigazione del disegno di legge Calderoli, afferma l’ex ministra, di intese con le regioni non se ne potrà parlare prima di due anni”. Durissimo anche il commento di Nino Cartabellotta, della Fondazione Gimbe:
“Il regionalismo differenziato darà il colpo di grazia al nostro Sistema sanitario nazionale – dice Cartabellotta – che nella maggiore autonomia richiesta dalle regioni del nord su sistema tariffario, di rimborso e dei ticket, oltre che nella gestione dei fondi sanitari integrativi vede dietro l’angolo un ulteriore aumento delle diseguaglianze”.
Le Regioni più ricche potranno attingere ad entrate fiscali maggiori di quelle più povere. E questo è un serio problema. L’allarme, inoltre, lo hanno dato anche alcuni governatori del Sud e l’Ordine dei medici, insieme agli esperti del settore. Semaforo giallo, di massima attenzione, per i parlamentari. Soprattutto per quelli meridionali che ancora non hanno speso una parola sui possibili effetti nefasti della riforma.
Insomma si può dire che il disegno di legge approvato dal governo non sarà una passeggiata, nonostante lo strombazzare della maggioranza ed il silenzio assordante di molti. Il vero pericolo è la minaccia che incombe per l’accentuazione delle diseguaglianze che in sanità sono ancora da ripianare. Già oggi ci sono regioni che finanziano con le entrate proprie una fetta dei servizi sanitari offerti ai propri assistiti.
Anche se il 10% lo superano soltanto la Valle d’Aosta (13,8% del finanziamento totale) e la Liguria (10,4%). Ma a marcare la vera differenza è il sistema di riparto del fondo sanitario nazionale, che dando maggiore peso alla popolazione anziana anziché alla deprivazione sociale, finisce per avvantaggiare le regioni più ricche. Definire, quindi, una giornata storica quella del CdM, come hanno fatto molti esponenti della maggioranza, soprattutto della Lega, appare oggettivamente esagerato. Il Ddl deve approdare in Parlamento e, anche se fosse approvato esattamente come è stato presentato dal governo, non introdurrebbe nell’ordinamento alcun procedimento direttamente attuabile. In ogni caso appaiono esagerati anche i commenti di alcuni esponenti dell’opposizione e di alcuni presidenti di regione che arrivano a definire “eversiva” l’operazione in atto.
Le criticità ci sono e rimangono. Al momento sembra che questi toni, così come la scelta di approvare il Ddl proprio in questo periodo, siano più orientati ad influenzare la propaganda per le elezioni regionali di oggi e domani piuttosto che arricchire il dibattito sull’autonomia differenziata.