Pubblica amministrazione e smart working fanno a cazzotti

Gli anni di pandemia hanno permesso alle aziende di affinare la pratica dello smart working. La sempre ritardataria Pubblica Amministrazione è ancora in alto mare. E ognuno fa ciò che vuole.

Il balletto del smart working nella Pubblica Amministrazione. Dal 1° settembre è scaduto il regime in deroga del cosiddetto lavoro agile. I dipendenti pubblici si sono trovati in balia delle onde a causa delle diverse indicazioni fornite da ogni Ministero. Una volta si diceva: “Paese che vai, usanze che trovi”. Oggi si può dire: “Ministero che vai, regole che trovi”. Le norme per i dipendenti della Pubblica Amministrazione sono definite dal “Piao”. Non è una sorta di miagolio, ma l’acronimo di “Piano integrato di attività e organizzazione”.

E’ un documento unico di programmazione e governance, comprendente le performance, i fabbisogni del personale, formazione, parità di genere, anticorruzione e, infine, i piani per l’organizzazione del lavoro agile, i famosi “Pola”. Questi testi, utilizzati durante la pandemia, contenevano le indicazioni e i termini dello smart working. Ora poiché non ci facciamo mancare nulla, cosa è stato escogitato da menti tanto sopraffine? Che le nuove regole, ora, variano da Ministero a Ministero. Altrimenti come giustificare la presenza di una pletora di burocrati, che altrimenti non farebbero un cavolo!

Molti dicasteri non hanno dato indicazioni precise, andando un po’ alla rinfusa. Altri come il Ministero del Lavoro, invece, hanno prodotto una cospicua documentazione. I dati diffusi, aggiornati al 31 dicembre 2021, ci informano che: su un totale di 1.878 dipendenti in servizio (1.004 uomini e 874 donne), 1.380 dipendenti (658 uomini e 722 donne), circa il 73,48% del personale in servizio ha lavorato da casa. E’ stato, però, imposto un limite di non più di 3 giorni a settimana, 12 al mese che si possono trascorrere lavorando da remoto. Questa situazione riguarda i dipendenti con malattie gravi, i genitori con figli fino a 14 anni e chi abita lontano dall’ufficio. Al Ministero degli Interni, invece, si suona un’altra musica.

Qui nel “Piao”, nella sezione dedicata al lavoro agile, è specificato testualmente: “in merito alla strategia e agli obiettivi legati allo sviluppo del lavoro agile, si rappresenta che tale forma di organizzazione del lavoro non trova attualmente applicazione al personale della Polizia di Stato, in considerazione della sua difficile compatibilità con la specificità dell’ordinamento e dei compiti istituzionali di questa Amministrazione”. Potevano benissimo evitare di utilizzare un linguaggio così burocratico, che stride non poco con le esigenze dello smart working nella Pubblica Amministrazione che dovrebbero essere espletate nell’immediatezza, o quasi, in una società che va a mille all’ora!

Però, in seguito, è stabilito che i dipendenti che lavorano da casa non “maturano il diritto all’erogazione del buono pasto” e come recita il testo: “per effetto della distribuzione flessibile del tempo di lavoro, nelle giornate di lavoro agile non è riconosciuto il trattamento di trasferta e non sono configurabili prestazioni straordinarie, notturne o festive, né protrazioni dell’orario di lavoro aggiuntive”. Ora questi esempi di gestione della Pubblica Amministrazioni sono sintomatici dell’impasse che si crea quando le direttive sono tante, mentre ne bastava una chiara, trasparente e, soprattutto, valida per i tutti i dipendenti, che, in fin dei conti, lavorano per la stessa azienda!

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