“Prison0000”, oltre 500 mila followers che raccontano il binomio carcere-social

Dagli Usa all’Italia la “moda” di raccontare in rete la vita dietro le sbarre, ci sono veri e propri creator che preparano i contenuti.

Roma – Social network e carcere, un binomio in crescita. Ormai gli smartphone sono penetrati con prepotenza nelle nostre vite, da non poterne farne ameno. Al punto da produrre un vero e proprio stato di angoscia quando si è senza o si è irraggiungibili. Ed è proprio questo che crea panico, perché tutto ruota intorno a quel dispositivo. La loro diffusione si è estesa a macchia d’olio ed ha varcato, finanche, le soglie delle carceri. Questo fatto ha destato scalpore perché il loro uso da parte dei detenuti potrebbe perpetrare attività criminali. In parte è vero, ma nella gran parte dei casi lo si usa allo stesso modo di chi vive fuori dal carcere. Da questo punto di vista, i social più noti e diffusi sono diventati validi compagni per far passare il tempo in maniera divertente.

Ed è così che sono nati i primi creator, costruttori di contenuti su un argomento o un settore particolare. Un vero profluvio di immagini, video e quant’altro i social permettono si è propagato per il web. Il fenomeno ha avuto origine negli USA, dove è più facile avere smartphone anche tra le mura carcerarie, grazie ad un vero sistema di contrabbando. Oltre a condividere con altri utenti i trend più virali, vengono riprodotte anche storie che raccontano la vita quotidiana in carcere. Esistono, addirittura, profili che cercano di raccogliere “fondi”. Quello più popolare è sicuramente “Prison0000”, seguito da più di 500 mila followers su Instagram. Nel Belpaese, al contrario, la circolazione di cellulari dietro le sbarre è molto bassa.

Tuttavia, negli ultimi tempi si stanno, comunque, diffondendo. Basta dare un’occhiata su TikTok per rendersene conto. Il contenuto è, spesso riferito alle loro condizioni, accompagnate da musiche neomelodiche partenopee. Inoltre, si stanno diffondendo racconti delle compagne dei detenuti, che condividono le loro esperienze. I creator rappresentano solo la parte sommersa del fenomeno. C’è una pletora di utenti passivi, che con la tecnologia cerca di stabilire un contatto con l’esterno. Il fenomeno ha assunto dimensioni tali che, qualche anno fa, in Inghilterra, il ministero della giustizia ha valutato di introdurre in carcere, per alcuni detenuti, il cellulare.

Dalle stime risulta che questo tentativo abbia ridotto del 40% la probabilità di delinquere, una volta usciti dal carcere. C’è da segnalare che su Internet esiste un mondo, parallelo, oscuro definito “manosphere”, una rete di comunità maschili online contro l’emancipazione delle donne e che promuovono convinzioni antifemministe e sessiste. Incolpano le donne e le femministe per ogni tipo di problema nella società. Molte di queste comunità incoraggiano il risentimento, o addirittura l’odio, nei confronti di donne e ragazze. In questo contesto, pare che i detenuti italiani ci sguazzino a meraviglia, simulando e dissimulando ogni situazione La diffusione dei telefonini in carcere non va, comunque, criminalizzata.

Se la loro presenza offre un aiuto per i detenuti, una distrazione dalla loro grama esistenza e permette di stabilire re un contatto con la realtà di “fuori”, è da condividere. Anche perché la pena dovrebbe essere rieducativa e, non solo, repressiva. I rischi esistono e vanno, attentamente, valutati. Ad esempio quello di continuare a delinquere consolidando relazioni col proprio “humus criminale”. Per il resto la realtà virtuale carceraria è come quella esterna: c’è di tutto, di più ed il suo contrario!

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa