I palazzi del potere si interrogano, ma non più di tanto, sul futuro di Luigi Di Maio e sulla collocazione della sua sigla politica inaugurata in Parlamento, mentre nuovi malcontenti ribollono e attendono di scoppiare. Insomma i 5 Stelle si sono liquefatti e la loro incompetenza, in tutti i settori, alla lunga è stata fatale.
Roma – Inverosimile fino a pochi giorni fa pensare che il Ministro degli Esteri potesse scuotere e addirittura interrogare le frammentate forze politiche che s’identificano in un immaginario centro, ipotizzando una sua collocazione fra i cosiddetti moderati. Nulla di cui stupirsi, ormai la politica italiana é diventata un circo mediatico da capogiro.
Se i politici dovessero essere giudicati per ciò che affermano e sostengono di voler sperimentare si terrebbe una nuova rivoluzione culturale, al grido di “fuori tutti”. I giochetti da illusionista, infatti, non bastano ad accreditare e legittimare scissionisti ritenuti fino a ieri persone dalle quali tenersi lontano visti i continui cambi di pelle dopo avere sfiorato i palazzi del potere.
È assurdo sentire la profezia del ritorno di Mario Draghi dopo le elezioni del 2023. Ciò significherebbe certificare per l’ennesima volta il fallimento della politica e l’inutilità del voto, sia esso di destra, di centro o di sinistra. Come si può prospettare un polo di centro con Draghi leader, senza che l’ex economista si candidi e scommetta su un progetto politico? L’incapacità dei partiti è anche questa. Impedire agli elettori di concorrere alla vittoria di uno schieramento ideale, depotenziando con questa prospettazione ogni possibile scelta valida.
Riflettendo si nota come questo sia dovuto ad una incapacità ormai cronica di scommettersi su personalità interne alla politica. Sempre meglio individuare un “esterno” piuttosto che farsi la guerra attraverso i “veti incrociati” sulla scelta di una figura politica ben caratterizzata. Questo metodo è in effetti più semplice. Adesso tutti tirano la giacca a Di Maio, ma la via è già tracciata. Fino a quando Conte ed il M5s rimarranno ancorati al Pd e al campo largo non vi potrà essere spazio per il neonato movimento parlamentare.
Nemmeno il tempo di salutare Conte e seguire Di Maio che già due tornano a “Canossa”: Fenu e Marciniglio. Dopo meno di un giorno i due onorevoli tornano a casa a testa alta, o a testa bassa. A seconda dei punti di vista.
In questo caso è d’obbligo orientarsi verso l’astratto centro, di cui tutti parlano ma che ancora non esiste. Chi poteva immaginare che i Radicali, per lo più quasi tutti in +Europa, con Azione di Calenda potessero dare carte e patenti di legittimità politica per la collocazione in un polo moderato? Chissà quante volte Pannella avrebbe urlato o digiunato per il posizionamento di Emma Bonino. Tutto è cambiato e forse è anche un bene.
Di Battista indica la strada per un suo ritorno nel M5s, cioè uscire subito dal governo e fare opposizione negli ultimi mesi dell’attuale legislatura. Favorendo in tal modo l’ingresso del gruppo di Di Maio nel centrosinistra. Strategie circolari. Nel frattempo, in Sicilia, si inaugurano nuove figure da ballo, con sequenze coreografiche che sanno di un nuovo stile politico. È ciò che ha fatto Nello Musumeci prima con il passo indietro, poi di lato, preludendo una spaccata finale per suscitare l’applauso. Anche Nello da Militello è bene che andato.
Comunque stiano le cose il Presidente della Regione siciliana ha dimostrato coraggio nell’impostare la nuova strategia. Ma l’impressione è che avrebbe raccolto maggiori frutti se non avesse svelato subito gli intenti, attendendo che si smuovessero ulteriormente le acque stagnanti del centrodestra.
Dall’altro versante il Pd ha scelto Caterina Chinnici per concorrere alle primarie. Scelta che pare un po’ tardiva rispetto al periodo storico attuale. Forse avrebbe avuto maggiore impatto e valore simbolico se fosse stata scelta nel 2017, al posto dell’ex rettore Fabrizio Micari. La scelta rischia di premere sulle crepe interne ai dem, ben consistenti anche se sottaciute.