Si parlava di questa tipologia di monete come se fosse Belzebù. Critiche, polemiche e accuse nei riguardi di imprenditori senza scrupoli, broker, innominati e criminali che tramite le criptovalute evadevano legalità e fisco. Oggi, con una norma europea, le monete digitali non puzzano più, sono diventate esempio di legittimità e progresso. Al riparo dalle mafie che avevano già fatto affari d’oro. E continueranno a farli.
Roma – Era quasi inevitabile che succedesse: la tecnologia ha talmente rivoluzionato la vita dei consumatori e i vari settori economici e sociali che alla sua longa manus non poteva sfuggire la moneta, digitale ovvio! E’ cosa nota, ormai, che una criptovaluta è un tipo di moneta digitale creata attraverso un sistema di codici.
Funzionano in maniera autonoma, ovvero al di fuori dei tradizionali sistemi bancari e governativi. Viene utilizzata la “crittografia” per rendere sicure le transazioni. D’altronde l’etimologia del termine crittografia ci aiuta a comprenderne il significato. Deriva dal greco kryptòs (nascosto) e graphia (scrittura) ed è un sistema studiato per rendere illeggibile un messaggio a chi non possiede la soluzione per codificarlo.
Alla fine anche le istituzioni pubbliche si sono dovute arrendere al suo impetuoso sviluppo. E’ stato varato, nel marzo scorso, il regolamento sui MiCA – Markets in Crypto Asset. Si tratta di una regolamentazione dei mercati delle criptovalute, approvata dall’European Parliament Committee on Economic and Monetary Affairs (Commissione del Parlamento Europeo per i problemi economici e monetari).
Sono stati definiti i passaggi chiave per l’emissione e la negoziazione di criptovalute, nonché della struttura sulle tematiche della trasparenza, divulgazione, autorizzazione e supervisione delle transazioni. L’intento è di proteggere i consumatori, che risulterebbero informati sui rischi, sui costi e sugli oneri di queste operazioni.
Nel testo sono esplicitate anche misure contro la manipolazione del mercato e per la prevenzione di riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo e altre attività criminali. E’ assodato, ormai, che per produrre criptovalute e per tenere in piedi il sistema ad esse collegate, c’è bisogno di una gran quantità di risorse energetiche, che emettono gas ad effetto serra.
Per questo motivo i M.E.P. – Model European Parliament (quel progetto europeo che permette agli studenti di vestire i panni di europarlamentari, simulando una vera sessione del Parlamento Europeo) – hanno chiesto alla Commissione di includere nella Tassonomia UE delle attività sostenibili, quelle di mining che contribuiscono al cambiamento climatico, entro il 1 gennaio 2025. Col termine mining, nel caso delle criptovalute, si intende quel processo di condivisione della potenza di calcolo degli hardware che partecipano alla rete.
La Tassonomia UE dovrebbe includere anche le industrie dei videogame o dell’entertainment, i cui data centre consumano risorse energetiche non rispettose del clima. Si tratta di una classificazione comune a livello UE di quelle attività economiche in linea con la sostenibilità ambientale.
Per essere inclusi in questo elenco bisogna soddisfare alcune condizioni tra cui: non produrre impatti negativi sull’ambiente; rispettare le garanzie sociali minime; uso sostenibile e protezione dell’acqua e delle risorse marine; transizione verso un’economia circolare; prevenzione e controllo dell’inquinamento; tutela e ripristino della biodiversità.
La tassonomia è entrata in vigore dal luglio del 2020. Sono quasi due anni, non tanti, ma sufficienti per un primo bilancio. Da allora non pare che in Europa ci sia stata un’autentica spinta verso un’economia sostenibile. Anche perché l’elenco tassonomico sembra la letterina di Natale che da bambini si dedicava ai genitori manifestando buone intenzioni per il futuro. Intenzioni, puntualmente disattese. La stessa sorte, molto probabilmente, toccherà ai MiCA. Con queste premesse!