La difesa del carpentiere di Mapello ha sperato sino all’ultimo di poter acquisire i reperti mai messi a disposizione di Salvagni e Camporini. L’ennesimo, inspiegabile diniego ha provocato le forti reazioni degli avvocati di Bossetti che si pongono diverse domande a cui nessuno risponderà.
Bergamo – “…Massimo Bossetti è innocente. Se mai avessi avuto dei dubbi, ora ne ho la certezza…”. Le parole dell’avvocato Claudio Salvagni riaccendono i riflettori sul caso giudiziario più controverso degli ultimi vent’anni.
E ad aumentare i dubbi e le perplessità sulla vicenda cade a fagiolo la decisione dei giudici della Corte d’Assise di Bergamo che hanno rigettato l’istanza con cui i legali avevano chiesto l’accesso ai reperti del processo.
Istanza questa già inoltrata a suo tempo e sempre respinta ma sul buon fine della quale si erano riaccese le speranze quando il 13 gennaio scorso la Corte di Cassazione aveva stabilito che la difesa del carpentiere di Mapello, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, aveva diritto ad una completa ricognizione e all’analisi dei reperti.
Il successivo 21 maggio la prima sezione della Cassazione aveva annullato anche il provvedimento del giudice dell’esecuzione Giovanni Petillo che, a suo tempo, aveva restituito al mittente la “famosa” istanza con cui la difesa chiedeva di sapere come fossero conservati i campioni di Dna custoditi presso l’ufficio corpi di reato del tribunale di Bergamo.
Durante un’udienza a porte chiuse, tenutasi prima del pronunciamento degli Ermellini, il procuratore capo Antonio Chiappani e il Pm Letizia Ruggeri dicevano no alla ricognizione di tutti gli indumenti che Yara indossava quella tragica sera e alla revisione dei 54 campioni di Dna, riconsegnati dal genetista Giorgio Casari, pare definendoli come “scartini”.
Senza spiegare il perché un qualsiasi diniego diventa fonte di sospetti e di facili strumentalizzazioni e nel caso in specie mai nessuno ha spiegato chiaramente ai difensori di Bossetti il perché di tante resistenze. E se una parte si trincera dietro un inspiegabile silenzio, l’altra ha tutto il diritto di esporre il proprio pensiero:
”…Con la concessione di analizzare i reperti significherebbe ammettere che ci sia stato, nella migliore delle ipotesi, un errore – scrive Salvagni sul suo profilo Facebook – costerebbe troppa fatica. Troppe carriere… Che cosa nascondono quei reperti e campioni di così tremendo? Che cosa si vuole celare alla difesa? Perché negare pervicacemente qualcosa a cui eravamo già stati autorizzati? Perché questa paura della verità? E’ stato negato per l’ennesima volta il sacrosanto diritto di difesa ad un uomo che è in carcere senza aver mai potuto vedere dal vivo i reperti che lo condannano…
…Esistono? Cosa c’è in quelle 54 provette di Dna? C’è veramente il Dna denominato Ignoto1? E’ veramente uguale a quello di Massimo Bossetti? Se prima, per rispetto, avevo solo dei dubbi, ora sento che c’è qualcosa di tremendo dietro questa costante chiusura. Mi domando se sia da Paese civile impedire, sempre e comunque, alla difesa di esaminare l’unica prova che ha portato alla condanna all’ergastolo una persona. Perché si continua ad esigere che il condannato pieghi la testa ed accetti la condanna che deve scontare pure in silenzio…”.
Salvagni è un fiume in piena e si dice basito anche per le presunte accuse di calunnia in riferimento alla richiesta del procuratore capo Antonio Chiappani alla Procura di Venezia, competente per le vicende che riguardano il tribunale orobico, di effettuare le “opportune valutazioni” per le altrettanto presunte scorrettezze da parte dei due difensori di Bossetti.
Insomma ancora scaramucce quando la giustizia, in attesa di una riforma ormai indifferibile non fosse altro per evitare fatti del genere, dovrebbe fare il suo corso con serenità e nel rispetto della vittima e dei suoi genitori.
Massimo Bossetti è stato condannato all’ergastolo in via definitiva il 12 ottobre 2018. A parte i rilievi scientifici che riconducevano, in qualche modo, al muratore bergamasco non c’è stata altra prova certa della presenza di Bossetti laddove sarebbe stata indicata dagli inquirenti all’epoca dei fatti.
Yara Gambirasio entrava nella palestra di Brembate ma non ci sono video che riprendano la ragazzina mentre usciva dal palazzetto dello sport. Le telecamere del complesso sportivo inquadreranno un furgone passare lungo la strada parallela all’ingresso dell’impianto ma non riprenderanno né la targa men che meno il volto dell’autista. Per non parlare di tutto il resto.