Era il titolo di un famoso brano del cantautore Edoardo Bennato del 1980. Narrava la storia di una sorta di “isola della felicità” senza santi né eroi, senza ladri né gendarmi e che, in realtà, non esisteva. Ma bisognava perseverare nel cercarla perché chi ci ha rinunciato è più folle di chi ci crede ancora.
Roma – Si potrebbe dire lo stesso per l’isola a cui, nell’ultimo Festival di Sanremo, il cantante Blanco ha dedicato una canzone. In realtà, stiamo parlando dell’Isola delle Rose, 400 metri quadrati, costruita nel 1968 sulle coste romagnole da Giorgio Rosa, bizzarro ingegnere bolognese. Mentre in tutto il mondo le piazze venivano occupate da una marea di giovani che contestavano lo status quo – il famoso ’68 – il nostro ingegnere decise di creare una piccola nazione. All’inseguimento, forse, di un’utopia figlia del periodo.
Dovevano esserci un presidente, ministeri, una lingua autonoma (l’esperanto), un inno nazionale (L’olandese volante di Wagner). Fu battezzata “Insulo dela rozoi” e fu al centro dell’attenzione del mondo intero. In questo contesto di fermenti culturali e collettivi, cominciò a muoversi Giorgio Rosa, che, per sua stessa ammissione, non si ispirava a nessuna posizione politica in particolare. Il progetto, in realtà, nacque alla fine degli anni ’50 ma vide la luce nel 1967 e venne inaugurato l’1 maggio 1968. Fu un successo strepitoso. Vi sbarcarono, migliaia di turisti, sedotti dall’esistenza di uno spazio nell’Adriatico. Non era né Italia né Jugoslavia.
Era un territorio senza pastoie legislative. Una sorta di porto franco della libertà. Non ci è dato sapere se l’ideatore avesse intenzione di costruire qualcosa di più ristretto. Ma è proprio a questo punto che i giornali, vista l’entità del successo, mostrarono interesse verso questa realtà. Lo fecero insinuando dei dubbi. Si disse che, in realtà, l’isola fosse una casa di prostituzione, sotto mentite spoglie. Chi, addirittura, pensava che fosse frutto della longa manus della Jugoslavia titina. Altri ancora, che fosse la sede di una radio pirata come “Radio Caroline”. Quest’ultima era un’emittente radiofonica inglese, nata come radio pirata, installata su una nave. Fu fondata nel 1964 da Ronan O’Rahilly e chiusa nel 1968.
È passata agli onori della storia per essere stata la prima ad aggirare il monopolio statale del settore, che era in mano alla BBC. Ma la realtà, come sempre, è sempre più prosaica di quanto appare. C’è chi ha immaginato che questo territorio, secondo l’idea di Giorgio Rosa, doveva essere senza ostacoli amministrativi, burocratici ed economici. Una città a misura di imprenditore, altro che comunità solidale come si predicava in quel periodo. Lo scopo, dunque, era guadagnare e far guadagnare. L’esperimento non durò a lungo e le autorità governative parlarono di “violazione del suolo italiano” e di essere “fuori controllo del diritto internazionale”. Addirittura il Servizio segreto militare pensò che potesse essere una base per i sommergibili sovietici.
Dopo due mesi dall’inaugurazione l’isola fu circondata da polizia e carabinieri e sequestrata. Utopia infranta o tentativo maldestro di aggirare le regole? Domanda a cui è impossibile dare una risposta plausibile. Quello che è certo è che si è trattato di un evento inconsueto, sui cui sono stati scritti film e documentari. Ed è ritornata in auge, come detto, all’ultimo festival di Sanremo, grazie al cantante Blanco. Durante l’esibizione l’artista ha danneggiato il palco, accompagnato dalle note della canzone “L’isola delle Rose”. Un fatto che è passato sotto silenzio, come tanti altri, perché la nostra storia, è vittima dell’oblio. E deve essere cancellata la possibilità che ci possa essere un pensiero “altro” da quello dominante.