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L’inflazione si “mangia” i risparmi

Ogni famiglia italiana sta patendo sulla propria pelle gli effetti della crisi economica, inasprita dall’inflazione dell’ultimo biennio. E si prospettano tempi peggiori.

Roma – Impennata dei prezzi al consumo e crescita dei costi energetici rendono difficile la quadratura del già gramo bilancio familiare. Tanto che sono a rischio anche i risparmi accumulati con le fatiche di una vita.

Tutto questo ci risulta da una ricerca dell’ufficio studi della CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) di Mestre, che ha calcolato l’effetto che ha l’inflazione sui conti correnti. Innanzitutto, si è ipotizzato che le risorse finanziarie dei conti correnti non abbiano subito variazioni nel periodo preso in esame. Inoltre, dopo aver stimato che l’inflazione, nel biennio, aumenterà di quasi il 15%, è stato prevista la perdita del potere d’acquisto dei nostri risparmi. I numeri sono “terrificanti” e tali da incutere non poche preoccupazioni alle famiglie italiane.

Un aumento del costo della vita

Si tratterebbe, praticamente, di una patrimoniale da quasi 164 miliardi di euro e ogni nucleo familiare dovrà pagare un “costo” che, in media si aggirerebbe sui 6338 euro. Ancora oggi, ci si ricorda con grande biasimo di quando nel 1992 il governo Amato, col decreto Legge n.133, prelevò forzatamente dai depositi bancari e dai conti correnti degli italiani una tassa pari al 6 per mille. Un prelievo che costò alle tasche dei risparmiatori italiani la ragguardevole cifra di 2,7 miliardi di euro. Dando un’occhiata alla distribuzione territoriale di quella che può essere considerata una vera e propria tassa occulta, emerge che il costo più alto sarebbe pagato dalle famiglie delle regioni più ricche: Trentino-Alto Adige, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.

A livello provinciale a patirne le conseguenze maggiori sarabbero le famiglie di Bolzano, Milano, Trento, Lecco e Treviso. Mentre subiranno meno gli effetti della “mannaia” del prelievo forzoso le famiglie ubicate in provincia di Siracusa, Trapani e Crotone. Una fotografia del quadro socio-economico dell’Italia, in cui il Meridione manifesta criticità superiori alle altre zone d’Italia. Se è più povero sia in termini monetari che economiche, è naturale che il prelievo sia inferiore essendo tale il deposito. Ora dal dicembre scorso il tasso di rifermento della BCE (Banca Centrale Europea) si è attestato sul 2%, che era lo stesso livello del febbraio 2009.

I prezzi aumentano ma i salari no!

Lecito chiedersi quali effetti economici si riverserebbero su un correntista. Nel 2009 il tasso attivo si aggirava sullo 0,75%, mentre dall’inizio dell’anno sullo 0,12%. Per i correntista si verificherebbe un decremento dello 0,63%. Ad esempio, su un deposito bancario di 10mila euro rispetto a 14 anni fa, ci si ritroverebbe annualmente con 63 euro in meno. Molti esperti sostengono che, entro la fine di quest’anno, il tasso potrebbe crescere al 4%, la stessa percentuale raggiunta tra il 2007 e 2008. Sul nostro “virtuale” deposito di 10mila euro perderemmo 107 euro. Indubbiamente non si tratta di cifre esorbitanti, però il cittadino comune fa fatica a raccapezzarsi e a non comprendere questi prelievi forzati, piccoli ma costanti.

Se le banche decidessero di riconoscere un piccolo aumento dei tassi attivi sulle somme libere depositate nei conti correnti, potrebbero essere coperti i costi fissi. Come è stato fatto dagli istituti bancari per i conti “. Le banche, comunque, potrebbero smetterla di essere taccagne e fare uno sforzo economico per ritoccare in alto i tassi sui depositi non vincolati. E’ un’operazione sostenibilissima, soprattutto considerando che negli ultimi tempi il loro bilancio è senz’altro positivo. Hanno chiuso, infatti, il 2022 con un utile netto pari a 12,7 miliardi, il 65% in più rispetto al 2021. Ma come scrisse Mark Twain: “Un banchiere è uno che ti presta il suo ombrello quando c’è il sole, ma lo rivuole indietro appena inizia a piovere.

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