Le comunità in cui vivono minori allontanati dalla famiglia hanno sospeso tutto: nessun ragazzo entra o esce dalla struttura. Gli altri servizi seguono a ruota. Anche i senzatetto hanno dovuto fare i conti con il Covid-19. In molte città sono state chiuse le mense per i poveri, sostituite con la distribuzione di “borse della spesa” o di cibi confezionati e pronti all’uso. Nei dormitori, invece, si è esteso l’orario di apertura: aperti 24 ore su 24. Decine i contagi nelle città del Centro-Nord…
Chiusi in comunità e lontani dalla famiglia da quasi due mesi. Questo è solo un esempio delle ricadute che il terribile virus ha avuto e continua ad avere sui servizi sociali. Infatti il divieto di assembramenti, il passaggio allo smart working e la chiusura o sospensione di tutte quelle attività definite non essenziali, ha comportato anche una completa riorganizzazione dei servizi sociali spesso gestiti da o in collaborazione con il mondo del volontariato. Un esempio? La storia di una ragazzina di 21 anni, di Vigevano, sbattuta fuori casa dalla madre e costretta a dormire in un parcheggio di un centro commerciale. Ospitata da una concittadina, la ragazza si è rivolta ai centri sociali del Comune ma la risposta è stata tranchant:”…Possiamo intervenire solo per minori abbandonati e lei ha 21 anni…”. Impossibile poi entrare in una casa famiglia o in una comunità: in pieno Coronavirus non sono ammessi nuovi ingressi. Da lì quindi la richiesta di un sussidio, di un buono spesa, del reddito di cittadinanza e, ovviamente, una soluzione abitativa ma per tutte queste richieste la ragazza avrebbe bisogno di cambiare residenza, sostituendo l’indirizzo della casa materna in “via del Comune”, che è la dicitura usata all’anagrafe per le persone senza fissa dimora. Anche qui il muro del Coronavirus: gli uffici dell’anagrafe lavorano in smart-working quindi le richieste vanno presentate via mail e, considerato che in queste settimane le caselle di posta elettronica dei Comuni sono invase dalle richieste per i buoni spesa, alla ragazza il cambio di residenza non è stato ancora notificato.
Tornando al tema principale cioè la ricaduta del Coronavirus sui servizi sociali, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha emesso una circolare al riguardo, la n.1 del 27/03/2020, la quale specifica che:”…La continuità dei servizi sociali può avvenire solamente rispettando le misure precauzionali disposte a tutela della salute pubblica e dei singoli volontari e operatori. Questi devono essere messi nelle condizioni di operare in sicurezza, rispettando la distanza interpersonale di almeno un metro (e, laddove possibile, privilegiando i contatti a distanza) ed utilizzando gli appositi dispositivi di protezione individuale…”. Ecco il primo problema: assenza di mascherine, guanti, gel e occhiali. Introvabili fino a metà marzo e ancora parzialmente disponibili sino a Pasqua. Possono costare da 1 euro e mezzo cadauna per le chirurgiche, ma anche 12 euro o più per le Ffp2 ed Ffp3. Considerato che molto spesso è il volontariato ad erogare il servizio, la conseguenza, su molte prestazioni, è stata “si resta a casa e si sospendono i servizi”. Molti degli sportelli che fornivano assistenza agli stranieri o servizi di trasporto per anziani sono chiusi fino a data da destinarsi. In generale, però, va precisato che il Dpcm permette, sempre con l’obbligo di garantire adeguate condizioni strutturali e organizzative, che i servizi di mensa, igiene personale, gli empori sociali per persone in povertà estrema, i centri polivalenti per anziani e persone con disabilità, i centri di ascolto per famiglie che erogano fra l’altro consulenze specialistiche, attività di mediazione familiare e spazi neutri su disposizione dell’autorità giudiziaria continuino ad operare. Così come possono continuare il servizio i centri antiviolenza.
Le comunità in cui vivono minori allontanati dalla famiglia, per esempio, hanno sospeso tutto: nessun ragazzo entra o esce dalla struttura. L’allarme è scattato subito, poco dopo i casi del lodigiano. I ragazzi che si trovavano a casa, cioè in famiglia, sono stati invitati a restarvi mentre quelli che erano in comunità, lì sono rimasti. E dalla struttura nessuno si muove tranne gli educatori costretti a seguire un protocollo preciso: dal cambio delle scarpe prima di entrare in comunità, al cambiarsi e lavare gli abiti ogni volta che si finisce un turno. E con la scuola come la mettiamo? Il decreto Cura Italia con l’articolo 48 consente alle amministrazioni competenti di fornire prestazioni domiciliari o a distanza nell’ambito dei servizi educativi e scolastici e nei centri diurni per anziani e disabili. Tali attività possono essere svolte anche tramite co-progettazione con gli enti gestori dei servizi. Eccolo il secondo problema: come trovare un tablet o uno smartphone per tutti i ragazzi e soprattutto come garantire una “connessione collettiva” che permetta a tutti di seguire ciascuno la propria lezione?
Pesante anche la ricaduta sulle comunità rivolte a persone diversamente abili. Qui la maggior parte delle strutture che svolgono attività ludico ricreative o di socializzazione, i cosiddetti “centri diurni” dove si arriva la mattina e si torna a casa la sera, sono state chiuse. Dunque gli ospiti di questi centri non hanno più la possibilità di seguire le attività ricreative, i laboratori o, più semplicemente, di incontrare lo psicologo, il logopedista o il terapeuta. Lo stesso vale per quelle persone con disabilità che vivono giorno e notte in una casa famiglia. Niente visite, niente uscite, niente laboratori. E anche qui niente o, comunque, davvero pochi strumenti per riuscire a parlare con qualcuno. Quel qualcuno ha “rimediato” offrendo assistenza online ma in molti casi, se da una parte c’era la volontà di incontrarsi, dall’altra c’era l’indisponibilità degli strumenti. Per fortuna c’è il mondo del volontariato e dei club service che si sono ingegnati in raccolte fondi e nel reperimento dispositivi salvavita pur di permettere a queste persone di avere contatti con il mondo esterno.
Per quanto riguarda i senzatetto anche loro hanno dovuto fare i conti con il Covid-19. In molte città sono state chiuse le mense per i poveri, sostituite con la distribuzione di “borse della spesa” o di cibi confezionati e pronti all’uso. Nei dormitori, invece, si è esteso l’orario di apertura: non più dalla sera alla mattina ma aperti 24 ore su 24. Il risultato? Decine di contagi nelle città del Centro-Nord: i casi accertati – denuncia la Fio.Psd (Federazione italiana organismi Persone Senza Dimora) network di 130 strutture in tutto il territorio nazionale che si occupano di persone che non hanno un tetto sotto cui dormire, sono ben 45, distribuiti tra Milano, Brescia, Venezia, Sanremo, Pisa, Torino, Trento, Bergamo e La Spezia.
Infine gli assistenti sociali. Come riporta Redattore Sociale, agenzia di stampa quotidiana sui temi del disagio e dell’impegno sociale in Italia e nel mondo, Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine degli Assistenti sociali ha dichiarato che: “…i buoni spesa sono una misura d’urgenza, ma se protratta rischia di non essere efficace. Occorre potenziare i servizi, allargare il numero dei beneficiari del reddito di cittadinanza e creare il Fondo di solidarietà del Terzo settore: troppi operatori hanno perso il lavoro in questo periodo e senza di loro il welfare rischia di collassare…”.