LE SPIAGGE ITALIANE DA TUTELARE: LEGGI DA RIFORMARE

Lo Stato ha adottato una serie di proroghe ripetute che hanno spostato gli effetti della Bolkestein impedendone l’applicazione pratica. Un danno non da poco per il Bel Paese.

ROMA – L’Italia si può fregiare di un patrimonio ambientale che comprende oltre tremila chilometri di spiagge. Si tratta di un bene demaniale da salvaguardare, profondendo uno sforzo comune che coinvolga le diverse istituzioni competenti in materia. La spiaggia identifica una risorsa, tanto limitata quanto preziosa, in termini di offerta e sviluppo del turismo sulla costa.

In questo contesto le spiagge libere diminuiscono e le concessioni aumentano. Sul sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono disponibili – in modalità open data – le elaborazioni aggiornate in materia di concessioni demaniali marittime, e si legge che:

“Le concessioni presenti sono divise per tipo, le rinnovate sono 23.457 e 27.512 le nuove, e per l’uso della concessione stessa, dove emerge che circa la metà, 27.335, sono per uso “turistico ricreativo” e le altre distribuite su vari utilizzi”.

La gestione delle spiagge rappresenta un’opportunità per il Paese e per l’imprenditoria che intende aumentare l’utile d’impresa, speriamo nell’ottica di uno sviluppo sostenibile a tutela dell’ambiente. Sulla metodologia di assegnazione del demanio statale è intervenuto ampiamente il legislatore comunitario. Il sistema di regolazione dell’Unione Europea si fonda sul principio ordinatore della concorrenza (il mercato diviene ex se meccanismo di controllo e bilanciamento dei comportamenti degli operatori economici).

La tutela della concorrenza e la salvaguardia dell’habitat circostante sono entrambi degli obiettivi che possono essere raggiunti con una buona normativa nel settore delle concessioni demaniali marittime, in grado di salvaguardare contemporaneamente l’ambiente e la concorrenza. In questo contesto l’incidenza dei cambiamenti climatici in corso coinvolge in maniera decisa le spiagge italiane, con numerosi processi di erosione in atto che colpiscono la costa a latitudini diverse, distruggendo le costruzioni presenti. E di questo, certo, bisogna tener conto.

L’attenzione della politica (economica) non può essere concentrata solo sulla salvaguardia della natura: vanno effettuate anche delle scelte di diritto dell’economia (regolazione del mercato di riferimento) che possono incidere profondamente nel settore demaniale-turistico.

La famigerata direttiva Bolkestein (UE) 2006/123/CE del 2006 protegge la concorrenza. La costruzione tecnico-giuridica (formata dall’insieme delle norme e della giurisprudenza euro-unitaria) conferisce dignità di valore al principio concorrenziale, anzi, si tratta di un concetto che racchiude al suo interno un sistema di valori.

Lo Stato italiano, invece, ha adottato una serie di proroghe ripetute, che hanno spostato l’effettività della Bolkestein e ne hanno impedito l’applicazione pratica. L’ultima proroga delle concessioni demaniali marittime, disposta ex lege dai commi 682 e 683 dell’art. 1 della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di stabilità per il 2019) potrebbe presentare problemi di compatibilità con la direttiva Bolkestein stessa (detta anche Direttiva Servizi). Forse è più facile non decidere affatto che contemperare esigenze contrapposte: l’effettività della concorrenza con il diritto d’insistenza in favore degli operatori del settore. Questi ultimi intendono far valere i propri diritti e interessi legittimi relativi all’attività svolta in concessione, rivendicando il diritto di preservare l’attività commerciale su quei pezzi di suolo demaniale in base al principio del legittimo affidamento.

Sarebbe necessario un atto amministrativo formale di proroga, incidente sulle singole concessioni esistenti fino al 2033, per dare stabilità alle attività turistiche e consentire investimenti di lungo periodo. Tuttavia, una recente sentenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 7874 del 18 novembre 2019) indica una posizione di chiara contrarietà del giudice amministrativo rispetto al rinnovo automatico dei rapporti concessori.

Senza trascurare il fatto che, nei Paesi Europei, il sistema di gestione delle concessioni risulta improntato al rispetto delle procedure a evidenza pubblica. Per esempio, in Francia vengono assegnate con bando pubblico di gara il cui termine di durata non supera i dodici anni. Non si può continuare a prorogare a tempo indeterminato. Bisognerebbe pur scegliere una strada, contemperando interessi differenti nel modo migliore: magari utilizzando il famoso metodo del check and balance cui ambiva de Tocqueville per la soddisfazione degli interessi della democrazia quasi duecento anni fa (La democrazia in America, 1835).

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa