LE DUE FACCE DI MONZA

La città dei doppi consumi, tra eroina ed emarginazione sociale. Dottor Jekyll e mister Hyde, a confronto, era un dilettante.

Dalla Stazione di Milano Lambrate a Monza ci vogliono quindici minuti di treno, un lasso di tempo relativamente breve per i pendolari che quotidianamente percorrono la tratta, un’infinità per chi, invece, è spinto da altre ragioni, come dalla tossicodipendenza.

Quando pensiamo a Monza il nostro cervello ci riporta alle gloriose corse della Ferrari sul circuito di Formula 1, o al piccolo centro che parte da Largo Giuseppe Mazzini per svilupparsi in un dedalo di viuzze adornate da insegne colorate e pregne di profumi pungenti di rosticceria e kebab.

Monza sembrerebbe una città ideale dove vivere e mettere su famiglia, un luogo dove far crescere i figli in maniera serena e senza disillusioni in merito al futuro. La realtà dei fatti, però, è realmente differente. Infatti, a soli dieci minuti dalla stazione centrale si estende la pista ciclabile Villoresi, che all’angolo con via Ghillini incontra e costeggia una filiera di alberi paralleli alle acque torbide del Lambo. Tra l’ombra delle chiome e il fiume si nasconde un luogo di disimpegno e di disperazione sociale, distante da occhi indiscreti, dove tutto è lecito, soprattutto per chi è a caccia di overdose.

Nella zona buia dell’ormai ex sito tessile Fossati Lamperti, nel quartiere San Rocco, anche Monza scopre di avere il proprio boschetto di Rogoredo. Laddove potrebbero sorgere zone aggregative e culturali, in mezzo al verde del parco, infatti, fanno bella mostra di sé siringhe usate, fazzoletti sporchi di sangue, stringhe di scarpe adoperate come lacci emostatici e rimasugli lerci di carta stagnola bruciacchiata impiegata per sciogliere e inalare eroina. Quest’ultima pratica, prepotentemente, sta tornando tristemente alla ribalta fra i più giovani.

Indicatore di tale allarmante tendenza è il report redatto dall’Osservatorio Europeo sulle droghe e sulla tossicodipendenza del 2019, secondo il quale tra i consumatori che sono entrati in trattamento specialistico per la prima volta nel 2017 e hanno segnalato l’eroina come droga primaria, il 25% ha indicato la via parenterale come modalità principale di assunzione, contro il 43% del 2006. Questi dati sembrano confermare la nuova propensione degli adolescenti nel concepire l’eroina come uno stupefacente innocuo se assimilato per inalazione e non in vena. E pura illusione ma loro non lo sanno e se qualcuno sa, tace.

Secondo il Dottor Giovanni Galimberti, Responsabile del servizio dipendenza ASS-T (Azienda Socio-Sanitaria Territoriale) Monza, infatti:

“Dopo anni in cui l’eroina come sostanza era demodé, poco ricercata, poco usata, c’è effettivamente un ritorno. Soprattutto tra i più giovani. Questo è il dato più preoccupante. Nel mondo delle droghe c’è stato l’ingresso di tantissime realtà nuove, ma c’è anche una differente modalità d’uso delle sostanze “storiche”. Per esempio, tra i più giovani l’eroina viene scaldata e fumata. Quindi finché i ragazzi riescono non se l’ha iniettano. L’eroina, però, è una sostanza con una fortissima capacità d’aggancio sull’utilizzatore. In un lasso di tempo abbastanza breve raggiunge quella che viene definita “capacità di tolleranza”, per cui ti prende tanto, ti prende subito e devi incrementarne l’uso. È chiaro che l’eroina fumata viene assorbita dal corpo in una quantità minore rispetto a quanto sia assorbita l’eroina iniettata. L’effetto, però, è altrettanto pericoloso; è meramente una questione farmacologica. La via parentale fa sì che la sostanza sia già tutta biodisponibile. Come tutte le fasi storiche e sociali, dopo un periodo lungo in cui la collettività si apriva ad un immaginario di crescita, di futuro, di possibilità, ad un’idea più performante, sta transitando in una dimensione in cui il futuro appare più depressivo e questo richiama droghe come l’eroina che sono sostanze fredde, che ti elevano dal mondo, che non ti fanno pensare, che ti tranquillizzano. Ci sono state delle politiche tra gli spacciatori – conclude il medico-, che hanno cercato di ripulire l’immaginario della sostanza con un utilizzo più innocuo, creando un nuovo inganno. Hanno reso l’eroina più accettabile, meno sporca, meno degradata, più sicura per le malattie, tutto un insieme di falsità che però tra i ragazzi in giovane età possono prendere pericolosamente piede.” 

La città dell’autodromo, capoluogo della provincia Monza-Brianza, negli ultimi anni ha visto crescere esponenzialmente il problema eroina: analizzando le statistiche fornite dal ASS-T il numero dei pazienti eroinomani under 24 è aumentato dal 10% del 2014 al 19% del 2017.

La posizione strategica del centro urbano, infatti, gioca un ruolo fondamentale collegando facilmente provincia e città. La pista ciclabile muta aspetto appena cala la sera, trasformandosi in un supermercato della droga, privo di controlli e fornito di merce a buon mercato tra le più disparate e pericolose. Non in molti sanno che cosa succede esattamente al di là di questa barriera naturale, e i pochi che sanno hanno la bocca tappa dall’omertà per paura delle possibili ritorsioni di pusher e grossisti.                                                                            

Franco (nome di fantasia) è un ragazzo che per molto tempo si è rifornito proprio in quel parco dannato, riuscendo, fortunatamente ad uscire da quel giro di costernazione sociale. Nel suo sguardo si può leggere la durezza della vita, la precarietà di chi è consapevole di aver fatto delle scelte sbagliate, ma anche la voglia di riscatto, di riappropriarsi di ciò che ha perduto:

“Fino a tre quattro anni fa – confessa Franco – era un luogo tranquillo, la gente andava a fare delle passeggiate sull’ansa del Lambro. Anche io le facevo. Entravo del vicolo San Lorenzo, nella zona delle cinque curve, come viene denomina qui a Monza, e arrivavo fino a via Ghillini. Ci sono sempre state siringhe e fazzoletti sporchi di sangue, ma almeno prima erano nascosti, lontani dall’occhio di un pubblico estraneo al mondo della droga. Negli ultimi tempi, invece, c’è stata una crescita esponenziale. In poco tempo oltre alle siringhe si sono moltiplicati i residui di carta stagnola bruciata e di lattine tagliate per fumare l’eroina. All’interno di questo piccolo boschetto si può trovare di tutto: oltre a siringhe, lacci emostatici e altro materiale prettamente usato per la fruizione di sostanze stupefacenti; si possono scorgere veri e propri bivacchi, zone adibite a piccoli fuochi per scaldarsi del freddo, o per sdraiarsi mentre l’effetto dell’eroina si diffonde per il corpo.”

Il boschetto della ciclabile per la propria collocazione logistica è un punto cruciale per il business della droga: di giorno è nascosto dagli alberi, la notte è immerso nel buio. Secondo Franco l’essenza stessa di questo parco servirebbe “a nascondere dall’immaginario comune il dramma della droga. Come se si volesse circostanziare a un solo quartiere tutto il dramma dell’eroina, come se Monza fosse estranea a tale problema.”                                                                                                            La facile reperibilità degli stupefacenti a prezzi stracciati, circa 20 euro per due punti di eroina e dosi da 20 o 40 euro per la coca, rendono questo luogo la Bengodi dei tossici non solo di Monza, ma di tutta la Brianza. La pista ciclabile è abbandonata al triste destino delle due facce: verso il centro sembra sopravvivere, verso la periferia è già cadavere.

Il nuovo aumento della diffusione di eroina fra i più giovani non può essere considerata un caso. Piuttosto una diretta conseguenza della polverizzazione dei valori ideali, dell’instabilità del quotidiano e della certezza di un futuro impossibile. Il fallimento della società dei consumi spinge inesorabilmente i giovani verso l’omologazione fittizia che stritola le classi sociali più deboli.

   

                                                                                                           

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