L’allarme sui cellulari in carcere, Gratteri: “Jammer in sezioni alta sicurezza”

Il procuratore di Napoli torna sulla questione dei dispositivi che possono essere acquistati per contrastare l’emergenza telefonini.

Roma – Le indagini che hanno portato alla retata di Palermo con 181 arresti ha fatto venire a galla un fenomeno sul quale magistrati, sindacati penitenziari e addetti ai lavori hanno lanciato più volte l’allarme. L’ingresso dei telefonini dietro le sbarre, molti nei reparti di alta sicurezza. I boss siciliani continuavano così a impartire ordini dal carcere attraverso cellulari criptati di ultima generazione per le proprie comunicazioni riservate. Lo scenario nazionale è spaventoso: nel 2023 fonti Dap hanno svelato che sono stati sequestrati in totale 3606 telefonini nei penitenziari da Nord a Sud. Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, è intervenuto ancora una volta sull’allarme dato dalla massiccia presenza di telefonini negli istituti di pena.

“Da anni denunciamo la presenza di centinaia di telefonini nelle carceri. L’unica soluzione – afferma Gratteri – è l’acquisto di jammer (dispositivi che interferiscono con le frequenze di comunicazione dei cellulari, ndr) da mettere quantomeno nelle carceri ad alta sicurezza”. Sono, infatti, sempre di più quelli che vengono sequestrati e soprattutto introdotti illegalmente nei penitenziari. “Anche ieri – aggiunge – abbiamo arrestato ventisette persone a Napoli. Sette di queste avevano i telefonini in carcere e mandavano messaggi di morte, chiedevano la tangente o addirittura, tramite videochiamata, la moglie faceva scegliere il colore dei pantaloni al marito carcerato. Questa è la cosa più semplice, ma ci preoccupiamo invece quando dal carcere, attraverso il telefono, si inviano messaggi di morte”. 

La polizia penitenziaria scova i cellulari in carcere

A Gratteri non sfugge neppure il tariffario delle vendite dietro le sbarre. Le mafie lucrano anche su questo traffico, con tanto di prezzi: 1.000 euro “per introdurre uno smartphone, 250 euro una sim”. Sulla questione interviene anche il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo durante la conferenza stampa sul blitz
antimafia di Palermo. “Da questa straordinaria indagine – ha fatto notare – viene fuori un dato allarmante:
l’estrema debolezza del circuito penitenziario di alta sicurezza che dovrebbe contenere la pericolosità dei mafiosi che non sono al 41 bis. L’inchiesta di Palermo mostra chiaramente, confermando quanto emerso in altri contesti investigativi, che il sistema di alta sicurezza è assoggettato al dominio della criminalità”.

E’ dei giorni scorsi l’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Messina e svolta congiuntamente da Carabinieri e Polizia Penitenziaria, riguardante un gruppo di individui sospettati di aver costituito un’associazione finalizzata all’introduzione di telefoni cellulari e stupefacenti all’interno del carcere di Messina “Gazzi”. L’operazione ha coinvolto 21 detenuti e 9 agenti della Polizia Penitenziaria in servizio presso l’istituto. Il decreto di perquisizione ha interessato anche altri quattro soggetti, alcuni indagati a piede libero e altri agli arresti domiciliari, per un totale di 34 persone coinvolte nell’inchiesta.

A novembre, nel carcere di Siracusa, la Polizia penitenziaria ha sequestrato ben 36 telefonini e oltre un chilo di droga. Il ritrovamento è avvenuto nel corso di una ispezione di un pacco postale destinato a un detenuto italiano: dentro c’erano 22 telefoni cellulari, quasi un chilo di hashish e 2,5 grammi di cocaina, nascosti in un doppio strato dello scatolo. I restanti 14 telefonini sono stati rinvenuti dalla polizia penitenziaria nella sezione alta sicurezza. Sono in corso accertamenti, coordinati dai magistrati della Procura di Siracusa, per verificare l’esistenza di una possibile organizzazione criminale dietro questo traffico.

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