Annoso e irrisolto problema nazionale quello della divisione tra Nord e Sud. L’economia non lancia buoni segnali e a rimetterci, come la storia ci ha già insegnato più volte, è il Meridione.
Roma – Il Meridione d’Italia è in brutte acque. Nel novembre scorso è stato presentato alla Camera dei deputati il rapporto SVIMEZ 2022 sullo stato dell’economia meridionale. La SVIMEZ, Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, è privata senza fini di lucro, nata nel 1946 con lo scopo di promuovere lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno d’Italia e di proporre dei programmi utili alla bisogna. Ebbene, le notizie non sono rassicuranti. Per il 2023 è a forte rischio recessione col PIL (Prodotto Interno Lordo), la ricchezza prodotta, che potrebbe subire un’inversione tale da segnalare percentuali negative.
Il rapporto ha indicato delle stime secondo cui l’economia, nonostante il segno positivo, subirebbe un rallentamento rispetto al 2022. La crisi economica associata a quella energetica ha avuto… preferenze asimmetriche sul territorio nazionale. Ha preferito sostare e sembra di non volere cambiare aria presso le famiglie e le imprese meridionali. Di fatto, un allargamento vistoso della forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud. I famigerati tiranni dell’economia, ovvero i rincari dei prodotti energetici e alimentari – secondo le stime SVIMEZ– troveranno terreno fertile per la diffusione della povertà assoluta. La perfida signora dell’indigenza potrebbe avere un’impennata di un punto percentuale, toccando la cifra dell’8,6%.
Ancora una volta si distribuirà in maniera disomogenea sul territorio. Al Mezzogiorno un +2,8%: si stanno preparando festeggiamenti e feste popolari per essere… primi nella miseria! Nord 0,3 e Centro 0,4: come sempre fanno da battistrada. Le stime elaborate dal rapporto indicano 760mila nuovi caduti nell’indigenza, pari a 287mila nuclei familiari, vittime della forte scossa inflazionistica. Di questi, mezzo milione sono al Sud.
Nel rapporto non mancano le indicazioni per sanare la situazione: misure concrete contro il caro energia e velocizzare la riproposizione degli investimenti pubblici e privati. Su quest’ultimi c’è poco da stare allegri, vista la loro cronica parsimonia nell’allentare i cordoni della borsa. Se si tratta di soldi pubblici, invece, diventano generosi e si tuffano sul malloppo! Tuttavia, c’è una speranza: nel 2024 gli indicatori miglioreranno sulla scia della positività della congiuntura internazionale e alla riduzione dell’inflazione. Grazie a questa spinta propulsiva Il PIL crescerà ma come sempre – è una costante ormai – in maniera più lenta al Sud. Secondo i ricercatori, il divario sarebbe strutturale e la ripartenza a singhiozzo andrebbe vista dal lato dall’offerta.
Con la crisi del 2008 si verificarono molte restrizioni della base produttiva che al Sud furono particolarmente violente e che hanno ridimensionato la capacità del sistema produttivo della zona di usufruire delle fasi di crescita del ciclo economico. Si ricorderà che nel 2007-2008 si verificò una grave crisi di liquidità globale e di solvibilità di banche e Stati, per la scarsità di credito alle imprese. Crisi internazionale o nazionale, a rimetterci le penne è sempre il Sud, anche quando le cose vanno meglio! Senza dubbio “la questione meridionale” è un male atavico, risalente all’Unità d’Italia. Ogni volta si ripresenta e la soluzione non si trova mai. Non sono serviti investimenti pubblici, Casse per il Mezzogiorno e quant’altro. La trama del film è sempre la stessa: l’economia arretra, i giovani emigrano e la criminalità organizzata prospera. A quando un copione diverso?