La Spezia – Cesare Serviatti, il “macellaio di zitelle” che sezionava donne sole

Pensionato, 450 mensile, conoscerebbe Signorina con mezzi. Preferibilmente conoscenza scopo matrimonio”: con queste banalissime due righe di annuncio si apre la macabra vicenda di uno dei più noti serial killer nostrani. Il “Landru del Tevere” attirava cuori solitari, rubava i loro risparmi e faceva a pezzi i corpi con la sua esperienza di macellaio.

La Spezia – Una storia che inizia con una valigia. Anzi, più di una: una Roma Tiburtina, due a Napoli Centrale, contenente il corpo, fatto a pezzi ed equamente ripartito, di una donna. Sono vittime di Cesare Serviatti, spietato “killer matrimoniale” che attirava signore sole con annunci da cuori solitari (quello che era un po’ il Tinder dell’epoca) e la promessa di una vita felice, per poi derubarle dei risparmi e della vita. Una vicenda agghiacciante che fece rabbrividire l’Italia del Ventennio fascista.

Il suo caso ricorda quello di Henri Landru, tra i primissimi killer della storia mondiale. Come lui, seduceva donne per derubarle e ucciderle

Possiamo immaginare che cosa sia corso per la testa a Paolina Gorietti, cameriera napoletana di quarant’anni, nel momento in cui lesse l’annuncio così perfidamente ben studiato dal suo futuro assassino: la promessa di una vita più agiata, e finalmente libera dalla solitudine. Per questo, probabilmente, decise di seguire l’uomo a La Spezia, località in cui le era stato promesso che avrebbe gestito una pensione. Invece, sarebbe stata strangolata (forse durante l’amplesso) e derubata dei propri risparmi.

Profilo del killer e delle vittime

Questo il marchio di fabbrica di Cesare Serviatti: un killer metodico e spietato, spinto da moventi di carattere economico, mischiati tuttavia a torbide pulsioni necrofile che lo portavano ad abusare del corpo caldo delle vittime che uccideva durante l’atto sessuale. Serviatti non è tuttavia un omicida dal carattere irrazionale: il suo target di vittime è scelto con cura quasi scientifica. Predilige attirare donne sole, dotate di buoni risparmi familiari (ricordiamo che lo scopo è il furto, l’uccisione è un “piacere” addizionale) ma di origini umili, in modo da evitare l’attenzione a cui certamente porterebbe la scomparsa di una donna di ceto alto.

Le vittime di Serviatti sono donne non solo nubili, ma anche dotate di scarse conoscenze e di una vita sociale minima. Il medium dell’annuncio e la forma dello stesso gli consentono di attirare in maniera infallibile questa categoria.

L’aspetto rozzo ma di bella presenza e un certo fascino personale gli assicurano un discreto successo presso queste signore sole. Serviatti è inquadrabile nell’archetipo del serial killer cinico e calcolatore: abile manipolatore e nella dissimulazione, mortalmente inespressivo anche quando viene messo di fronte all’orrore assoluto dei suoi delitti.

Il killer che nascondeva i cadaveri fatti a pezzi delle sue vittime nelle valigie

Purtroppo non si sa niente della sua storia familiare, che ci permetterebbe meglio di ricostruire i traumi psicologici che potrebbero averlo portato a una personalità tanto antisociale. Le sue precedenti occupazioni spiegano tuttavia la sua abilità nello sfilettare cadaveri: nientemeno che macellaio e infermiere… Non è tuttavia un omicida infallibile o geniale: nell’esecuzione dei delitti commette infatti errori madornali che porteranno a una sua rapida individuazione.

Le indagini

Torniamo alla vicenda della valigia. Questo è decisamente un grave errore del Serviatti: il ritrovamento mostruoso diventa immediatamente un caso pubblico che spinge il governo (siamo pur sempre negli anni del Regime fascista) a individuare rapidamente un colpevole. Il caso viene affidati a due poliziotti: il commissario Musco e il vicecommissario De Simone.

Due ottimi agenti, che per puro caso si erano occupati (senza fortuna) del caso di un’altra vittima del Serviatti: Bice Margarucci, trovata a pezzi nel Tevere. Cameriera, senza famiglia, dotata di un certo gruzzolo (sparito), con pochi contatti sociali: i commissari sul caso comprendono che tra i due delitti c’è un collegamento. Il cadavere nelle valige è impossibile da identificare, ma i due commissari intuiscono che per scoprire il nome della morta ammazzata devono cercare una donna che corrisponda a queste caratteristiche. Come restringere il campo? Una serie di indizi permettono agli uomini di legge di indovinare la località.

  1. Il ritrovamento di un coltello, insanguinato, nei dintorni della stazione di La Spezia.
  2. L’orario di comparsa delle valige sui treni, che lascia presupporre che siano stati caricati proprio nel porto ligure.
  3. I giornali con cui è stato avvolto il cadavere, tra cui ci sono quotidiani locali legati proprio alla Liguria.
Il coltello utilizzato da Cesare Serviatti per sezionare le sue vittime

Insomma, il luogo del delitto deve essere quello. Bisogna attendere notizie sulla sparizione di una donna il cui profilo corrisponda a quello della Margarucci. E salta fuori: Olga Melgradi, cameriera umbra in servizio a Roma, afferma di non avere più notizie di Paola Gorietti, collega orfana e nubile. Secondo Olga, l’amica le aveva detto di avere conosciuto un uomo affascinante che la aveva invitata a La Spezia per sposarsi e gestire assieme una pensione. Lo stesso era capitato alla Bice: prima di sparire, aveva conosciuto un uomo attraverso un’inserzione matrimoniale.

Olga stessa da una macabra conferma alla supposizione degli inquirenti: identifica gli orribili resti trovati nelle valige come quelli della ex-collega. Prima di raggiungere il proprio carnefici, Paola Gorietti aveva confidato all’amica un nome: quello di Cesare Serviatti. Gli uomini di legge hanno ora sia il nome della vittima, che quello del carnefice.

Gli piombano in casa e si sorprendono nel trovarlo in compagnia della moglie, Angela Taborri, intento a cenare. Non è ancora chiaro quanto questa donna sapesse delle atrocità del marito: forse era una potenziale vittima, visto che l’aveva conosciuta attraverso un annuncio matrimoniale. In tal caso, non è chiaro perché l’avrebbe risparmiata: è possibile che fosse più carina delle altre…

Pasqua Bartolini Tiraboschi, l’unica vittima di Serviatti di cui siano rimaste fotografie.

Serviatti riesce a mantenere la maschera di indifferenza per qualche ora, ma durante l’interrogatorio cede e confessa. Afferma di avere litigato con Paolina Gorietti dopo che questa aveva scoperto del fatto che lui fosse già sposato, e che lei sia morta dopo un singolo calcio ben assestato: insomma, cerca di fare passare l’omicidio per un incidente. Ma messo di fronte alle prove dell’assassinio della Margarucci, nega, si agita, scoppia a piangere, accampa scuse, chiede che lo lascino in pace: la sua freddezza cinica scompare. Infine vuota il sacco: racconta i dettagli orrendi degli omicidi, afferma di avere ucciso altre cinque donne, di cui si rifiuta di fare il nome. Salta invece fuori il nome di una terza vittima: Pasqua Bartolini Tiraboschi, cantante lirica, uccisa in modo analogo. Il suo corpo smembrato viene ritrovato in fondo a un pozzo a La Spezia.

La morte

La personalità di Serviatti confonde gli inquirenti. A primo avviso, sembra un efferato cacciatore di doti, un immorale e disumano omicida spinto da una avidità incontenibile: ma è chiaro che non è tutto. Serviatti è anche necrofilo, omicida, e pranza davanti ai cadaveri delle vittime. La sua psicologia oscura è probabilmente influenzata dalla morte precoce dei genitori (di cui non si sa nulla) e da una infanzia difficile, ma il suo caso è uno di quelli rari in cui pulsioni perverse e avidità sono in equilibrio, senza che si trovi un movente più forte dell’altro.

La sua figura ricorda quelli di Henri Landru, altro omicida seriale che seduceva donne nubili per derubarle nella Francia degli anni ’10. Serviatti condivide con questo personaggio il carattere meticoloso, ma emerge come una figura ancora più oscura proprio a causa di queste anomalie psichiche.

Serviatti tenta di giocarsi la carta dell’infermità mentale: afferma di essere stato spinto da una “forza misteriosa”. Ma nell’Italia del fascismo non è abbastanza: l’opinione pubblica lo vuole morto. Del resto, la natura manipolatoria e lucidamente organizzata dei suoi omicidi depone a favore della piena capacità di intendere e di volere. Il suo aspetto rozzo, nell’epoca di Cesare Lombroso, depone a favore della sua natura criminale. Il verdetto è la condanna a morte.

Ponte Garibaldi. Da qui il Serviatti gettò il corpo della povera Bice Margarucci.

Il “Landru del Tevere” ripiomba nella maschera del cinismo durante la breve detenzione. Fa richiesta di grazie al re, e ricevendo il rifiuto, chiede solo di poter scrivere alla moglie (nel frattempo, assolta, sebbene chiaramente avesse collaborato almeno con le truffe). Viene condotto al poligono di Chiara Vecchia: alla sua esecuzione assistono ben 5000 persone, in silenzio tombale.

Solo di fronte al patibolo la calma forzosa scompare, e il mostro di La Spezia comincia a dare di matto. Lamenta che non gli hanno concesso l’ultimo pasto, chiede di fumare: riesce a farsi dare qualche bicchiere di cognac e due sigari. Rifiuta sdegnosamente di parlare con un prete.

Faccia al muro, il killer di cameriere, pallido, guarda ostinatamente per terra. Un battaglione di dodici tiratori mira alla sua schiena: la raffica gli spacca il cranio. Delle sue altre vittime non si saprà niente: “In fondo lui ha sempre cercato le sue prede tra le donne rimaste sole al mondo. Donne di cui nessuno ha denunciato la scomparsa, probabilmente”.

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