Dove sta la novità? I sindacati sempre più asserviti alle aziende e sempre più distanti dalla legalità e dalle esigenze dei lavoratori. Certo, non tutti ma Bona-parte.
Possiamo dire che ha vinto la sinistra in Emilia-Romagna? Sono tornati davvero i famigerati “Rossi” con mitraglietta in spalla e stella rossa sul berretto alla guida del governo regionale? Dalle accuse mosse da parte dell’opposizione sembrerebbe di sì, ma se analizziamo in maniera più approfondita i risultati elettorali la risposta appare negativa. Non è passata nemmeno una settimana da quando Stefano Bonaccini è diventato la massima autorità emiliano-romagnola che già si parla di autonomia regionale, di privatizzazioni e di sembramento dell’ormai “datata” struttura pubblica. Il neoeletto presidente sembra voler proseguire sulla strada dell’intesa con i privati per quanto riguarda la dimensione sanitaria, strizzando l’occhio anche al contesto scolastico.
Lo scorso novembre il piddino Bonaccini, in occasione del terzo bilancio sociale di Aiop Emilia-Romagna, associazione ospedaliera privata, e la regione per i rapporti del comparto sanitario pubblico-privato fino al 2019 e per il successivo periodo 2020-2022, aveva dichiarato che: “…Se siamo coloro che, pur tra mille problemi, hanno in Italia l’asticella più alta dal punto di vista della velocità con cui le prestazioni sanitarie di prima fascia vengono erogate, è anche grazie al contributo che in questi anni è arrivato dal privato accreditato. Ci ha dato una mano, è stato molto importante e continuerà ad esserlo nei prossimi anni…”.
Logicamente durante la campagna elettorale l’intenzione del centrosinistra è stata quello di distogliere dall’attenzione degli elettori il tentativo di smantellare la struttura pubblicistica a beneficio di un privato sempre più presente nelle articolazioni essenziali della Regione. D’altronde, la politica, almeno in materia sanitaria, di Bonaccini non si è discostata da quella attuata nel Lazio dal suo collega Nicola Zingaretti che, come avevamo già trattato in un precedente servizio, è stato protagonista di un percorso che ha portato alla chiusura di 14 entità sanitarie pubbliche. “…Noi abbiamo un rapporto molto positivo – aveva aggiunto Bonaccini- col privato. Da presidente sto lavorando affinché con imprese e sindacati si arrivi, dopo ben 12 anni, allo sblocco del contratto delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità privata…“. Uno stretto legame, dunque, anche con quei sindacati che oggi più che mai, si scoprono depositari della concertazione, rinnegando ogni tipo di lotta e lasciando i lavoratori agli appetiti famelici delle aziende. Infatti anche se si cambia Regione la situazione non muta: le ultime proteste degli ex salariati della Whirpool (l’azienda americana che sta per chiudere i battenti per sempre), che durante l’ultimo presidio hanno avuto il coraggio di togliere il microfono al segretario della Fim-Cisl Bentivogli costringendolo alla fuga, sembrano dimostrare il ruolo assunto da certi sindacalisti negli interessi aziendali.
Appare logico, in questi termini, che il movimento di protesta delle Sardine abbia taciuto sulle problematiche lavorative per non incorrere in conflitti d’interesse con la propria direzione politica: il PD. A rafforzare questa tesi c’è anche l’ambiguità dimostrata proprio dai leader del movimento in merito al Decreto sicurezza bis, norma che nella sua complessità e in sordina, ha di fatto ingabbiato i lavoratori e i manifestanti in una dimensione di regime, aumentando le ripercussioni repressive e mutilando cosi la libertà di sciopero. Infatti, nel passaggio dell’articolo 6 comma 1 del citato decreto, si può scorgere l’inasprimento delle pene per chi viene accusato di muovere un comportamento suscettibile alla creazione di un pericolo per l’integrità delle cose.
Il problema è che la pericolosità di tale comportamento è dovuta ad una sorta di interpretazione arbitraria che di fatto rende legittimamente perseguibile uno scioperante anche per un picchietto diciamo più concitato. Questo passaggio del decreto di chiara marcatura leghista non dispiace neanche al PD e, nello specifico, allo stesso Bonaccini o, almeno, cosi pare. Infatti, tra i nomi presenti all’interno delle liste in sostegno del candidato di centrosinistra, svettava, indubbiamente non per meriti politici, il nome di Carlo Fagioli, rappresentante della famiglia Fagioli e dell’azienda che si rese tristemente nota per il licenziamento di circa 500 lavoratori tramite un messaggio su WhatsApp. Il comportamento dell’impresario fu condannato e contestato anche dall’ex segretario della Fiom Cgil Reggio Emilia Sergio Guaitolini, il quale su Affaritaliani ebbe a manifestare tutto il suo disappunto: “Si vede che rispetto ad Emilia-Romagna Coraggiosa abbiamo un’altra idea del lavoro”.
Nel frattempo, in Calabria, a poco meno di una settimana dalle elezioni regionali, il Presidente della commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra ha dichiarato il neoeletto Domenico Tallini (FI) impresentabile in quanto rinviato a giudizio per l’ipotesi di corruzione. Insomma, da Nord a Sud, i partiti del cosiddetto arco parlamentare si scoprono sempre più identici, prostrati agli interessi economici e incuranti dei bisogni reddituali della collettività.