La sanità è in stato comatoso

Da qualche anno la sanità italiana versa in uno stato pietoso. Liste d’attesa per una prestazione diagnostica fino alle calende greche, per non parlare di quando si va al pronto soccorso anche con patologie gravi. Si rischia di restarci per giorni, se non dimenticati in barella lungo qualche corridoio.

Roma – Eppure le criticità non sono apparse all’improvviso per un oscuro sortilegio, ma rappresentano gli effetti di tagli e “spending review”. Il risultato è stato quello di penalizzare i cittadini e rendere difficile il lavoro degli operatori sanitari. Le piante organiche dei camici bianchi lamentano una carenza eccessiva di personale. Medici e infermieri sono spesso costretti a doppi turni massacranti se non di più.

Col risultato che aumenta il “burnout” tra i lavoratori e cala la soglia di attenzione, con gravi ripercussioni per i pazienti. L’Anaao Assomed, il sindacato di medici e dirigenti sanitari italiani, ha diffuso una nota in cui evidenzia che la situazione potrebbe peggiorare con l’autonomia differenziata. Si tratta del riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione ad una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive. Questa riforma –precisa il sindacato dei medici- porterebbe ad un’eccessiva frammentazione regionale e territoriale che viola il diritto alla salute, in quanto lo fa dipendere dalla residenza.

Mancanza di riforme utili per il servizio sanitario

Inoltre, l’aspettativa di vita sul piano territoriale sarebbe molto diversa tra Nord e Sud del Paese, col secondo che ne soffre le conseguenze più gravi, con aumenti degli avvilenti, umilianti e costosi viaggi della speranza. Infine, l’Anaao Assomed ha rimarcato la mancanza di riforme del servizio sanitario, utili per essere all’altezza delle novità scientifiche e tecnologiche e affrontare i cambiamenti demografici e sociali che stanno sconvolgendo la nostra esistenza.

Eppure, si è riusciti a demolire il nostro caro (in tutti sensi sia affettivo che costoso) Servizio Sanitario Nazionale (SSN), l’acronimo che troviamo scritto sul qualsiasi impegnativa del medico di base o prestazione diagnostica! Il SSN, considerato il nostro “fiore all’occhiello”, è figlio della Legge n. 833/1978, con la quale si ratificò il modello universalistico di tutela della salute, con gli oneri a carico della fiscalità generale. Sostituì il sistema mutualistico, con cui la salute era correlata al lavoro, come una forma di protezione assicurativo-previdenziale. Anaao Assomed ha compilato un elenco di costi che peserebbero sulle tasche dei cittadini, qualora il SSN sparisse.

“Angeli della Sanità”

Tra ricoveri a bassa e alta complessità assistenziale, interventi chirurgici con relative degenze in reparto, la spesa varia da un minimo di 400 euro, ad un massimo di 1278 euro al giorno. Inoltre, i costi per alcune particolari prestazioni variano da 3300 a 4000 euro, con la parcella del chirurgo che oscilla tra 3000 a 10000 euro. Ovviamente le tariffe sono suscettibili di variazioni, anche rilevanti, a seconda di età, sesso ed esami previsti. Un SSN preso a pedate, dunque, da una politica tesa più a salvaguardare interessi particolari che il bene pubblico. E pensare che allo scoppio della pandemia, quando gli ospedali furono invasi da pazienti affetti dal terribile virus “covid-19”, intasando tutti i reparti, gli operatori sanitari furono definiti, retoricamente, “Angeli della Sanità”, evidenziando l’efficienza del nostro sistema.

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