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La ristorazione soffre, i commensali pure

Il settore ha subito perdite enormi con la pandemia ma centinaia di esercenti, appena riaperti i battenti e già prima della guerra, hanno aumentato i prezzi scaricando sui clienti le sofferenze patite. In molti hanno lasciato i medesimi prezzi riducendo le porzioni ed altri applicano sconti pur di non emettere lo scontrino. Tutto questo in danno degli imprenditori onesti.

Roma – Il settore della ristorazione arrancherà anche quest’anno. La pandemia, ormai è noto a tutti, ha provocato una serie di decessi come non mai dal dopoguerra ad oggi. Oltre ai lutti si è aggiunta una crisi sociale ed economica di cui stiamo ancora subendo gli effetti letali. Molti settori si sono trovati in profonda crisi, a cui hanno cercato di porre rimedio i diversi decreti di sostegno che si sono succeduti nell’ultimo biennio. Uno dei settori maggiormente colpito è stato quello della ristorazione.

Si stima che dal 2019 ad oggi si sono volatilizzati ben 194 mila posti di lavoro, quasi tutti con contratti a tempo indeterminato. Pare che anche per quest’anno le previsioni sono a tinte fosche. Se andrà tutto bene forse, e diciamo forse, per il 2023 il fatturato tornerà ai tempi pre-Covid. Le imprese lamentano di aver perso manodopera professionalizzata e formata.

La recente impennata dei costi delle materie prime ed energetiche ha acuito i problemi. Sono stati riscontrati aumenti della bolletta energetica anche del 50% e del 25% per i prodotti alimentari. I prezzi al consumo sono, invece, cresciuti del 3,3% in confronto ad un aumento generale dei prezzi che si è attestato sul 5,7%.

Oltre la metà degli esercenti ritiene di non rialzare il prezzo del listino, almeno nel breve periodo. Ma questa affermazione non è corrispondente alle verità, purtroppo. Ad informarci sullo stato di salute del comparto è stato l’ufficio studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiani dei pubblici esercizi, col consueto rapporto annuale in collaborazione con Bain&Company e TradeLab, due società di consulenza aziendale.

Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe

In dettaglio è emerso che la ripartenza c’è stata solo per il 16% delle aziende, con una crescita del fatturato che non ha superato il 10%. Per tanti imprenditori il calo degli affari è stato veemente. Gli italiani, infatti, hanno speso oltre 24 miliardi in meno nella ristorazione rispetto al 2019.

Inoltre l’ultimo biennio si è confermata la forte frenata della creazione di nuove imprese, mentre si è assistito ad un’impennata di cessazioni di attività. Infine l’impatto della guerra in Ucraina avrà effetti sulla dinamica dei prezzi delle materie prime energetiche, sull’approvvigionamento di alcune materie prime alimentari e sui flussi turistici che costituiscono una voce in entrata molto consistente per il settore.

In due anni 45mila imprese di ristorazione hanno chiuso i battenti (Foto Marco Di Lauro)

La Fipe propone l’azzeramento delle misure restrittive per la ristorazione per dare un po’ di ossigeno alle imprese in sofferenza e per recuperare produttività ed attrattività. E’ fortemente sentita la mancanza di una politica del settore, chiara negli obiettivi da raggiungere e negli strumenti da adoperare.

Ora che stiamo vivendo un periodo di vacche magre, è un fatto incontrovertibile. Tutti i settori della realtà socio-economica della nazione hanno subito perdite. Chi più, chi meno. Poiché siamo tutti sulla stessa barca, i sacrifici da compiere per risollevarci dovrebbero essere ben distribuiti e non pesare su chi, ad esempio, è stato sempre tartassato.

Ci riferiamo al lavoro dipendente che non ha potuto mai sfuggire alle grinfie del fisco, proprio perché tale. Mentre si è assistito ad un’enorme elusione, evasione fiscale e contributiva soprattutto nel settore del lavoro autonomo e nelle imprese commerciali. Molte di queste addirittura sconosciute al Fisco e con lavoratori in nero.

Adesso che siamo in cattive acque si chiede l’intervento dello Stato per affrontare la crisi economica. Lo stesso Stato che è stato deriso, sbeffeggiato ed ingannato non pagando né tasse e né contributi previdenziali. Un fiume di denaro che sarebbe tornato utile per la sanità, la scuola e che avrebbe permesso sostegni economici ben più consistenti. C’è qualcosa che non quadra, o no?

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