Non si può aiutare chi ha bisogno vessandolo in ogni maniera. Fra banche e clienti dovrebbe esserci la fiducia alla base del rapporto ma gli istituti di credito italiani hanno preso da anni una brutta piega. Quando è la banca che deve pagare, anche per dolo, c’è sempre tempo. Quando a pagare, invece, è il cittadino in un attimo gli si porta via la casa lasciandolo sul lastrico. Cosi non si va avanti ma indietro.
Roma – La ripresa economica è ostacolata dalle banche. La crisi economico-sociale, esacerbatasi con la pandemia, ha sconvolto la vita di intere comunità. Nonostante gli aiuti sia a livello nazionale che europeo, le difficoltà, soprattutto per il piccolo commercio e per il variegato mondo delle partite iva, non accennano a rallentare. Anzi gli ostacoli maggiori sono frapposti dalle banche.
Ad esempio dal 1° gennaio 2021 sono in vigore le nuove regole europee degli istituti bancari in materia di classificazioni delle controparti inadempienti, meglio conosciuti come “default“. La nuova definizione di default stabilisce criteri e modalità più restrittivi rispetto ai precedenti, con l’obiettivo di armonizzare la regolamentazione tra i diversi paese dell’UE.
I principali cambiamenti hanno previsto per i privati e le piccole-medie imprese, cioè persone fisiche, titolari di ditte, liberi professionisti, imprese individuali e quelle con fatturato inferiore a 5 milioni di euro ed esposizione verso la banca inferiore ad 1 milione di euro, che le banche in automatico considerano inadempiente il cliente che presenta un arretrato consecutivo da oltre 90 giorni, il cui importo superiore ai 100 euro. Per le imprese con dimensioni più grandi, il cui importo è superiore ai 500 euro, in pratica avviene la stessa cosa.
Ora, senza avere la pretesa di addentrarci in analisi di scenari politico-finanziari, che lasciamo volentieri ai competenti della materia, è il principio che sta alla base che provoca critiche e che andrebbe ridiscusso sia per la situazione nota a tutti, sia per il rapporto che una banca dovrebbe instaurare col cliente e che dovrebbe essere posto sulla fiducia. Altrimenti a che cosa servono gli istituti di credito?
Ci si riempie la bocca con frasi che esprimono la propria vicinanza sul territorio, a fianco alle esigenze dei piccoli e medi imprenditori, che sono stati l’asse portante dell’economia italiana. Aria fritta, come l’altro slogan che tenta di sedurre confidando di esserci sempre.
Sì, ci sono sempre per prenderci per i fondelli e per succhiare il sangue a tanti piccoli risparmiatori che dopo una vita di sacrifici hanno, con sudore e fatica, messo da parte un gruzzoletto per figli e nipoti. Lo scandalo degli investimenti, consigliati a tanti onesti lavoratori e modeste famiglie, in titoli deteriorati è ancora troppo recente per essere sommerso dall’oblio.
L’ultimo caso, di cui si è parlato anche sul queste colonne, della Banca Agricola Popolare di Ragusa è che ha riguardato la gestione delle azioni ed i piani di risparmio proposti ad ignari cittadini, è solo l’ultimo di un elenco lunghissimo.
Ora quanti default si sarebbero dovuti dichiarare in passato ad aziende e società a cui le banche hanno regalato soldi a gettito continuo senza garanzia di alcun genere se non quella di essere amici degli amici? E i fantomatici organi di vigilanza, forse vigilavano sul traffico cittadino?
Dov’era Banca d’Italia? A trastullarsi il cervello con previsioni econometriche campate in arie o con auspici che lasciavano il tempo che trovavano, ecco dov’era.
Tanto alla fine le perdite sono state socializzate ed i Zonin di turno, l’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza, nonché produttore di vini, protagonista di un crack costato ai contribuenti italiani 5 miliardi di euro, per citare solo uno degli esempi più eclatanti, difesi da scherani legulei con parcelle da capogiro.
E’ stato sì condannato a 6 anni di carcere ma probabilmente non sconterà nemmeno un giorno in galera, per poi essere sottoposto agli arresti domiciliari in ville faraoniche acquisite, lo vogliamo sperare, con mezzi leciti e di tasca propria
Sono 114 le banche a rischio sofferenza secondo Il Sole 24 ore, il giornale di Confindustria. E’ questa sarebbe la democrazia che vogliamo? E la certezza della pena, uno dei capisaldi di qualsiasi civiltà giuridica degna di questo nome, che fine ha fatto? Mentre intere famiglie e centinaia di lavoratori ancora aspettano di essere risarciti dopo essere stati rapinati, offesi, truffati e umiliati e che adesso sono alla fame!
“In galera! in galera!” urlava Bracardi, il comico della combriccola Arbore/Buoncompagni durante la trasmissione cult deli anni ’60-’70 Alto Gradimento. Più che al fresco, punizione equa e giusta, adeguata al loro livello, sarebbe quella di diseredarli. Una sorta di esproprio proletario, il cui ricavato andrebbe in primis alle vittime dei loro raggiri e, se resta qualcosa, allo Stato.
Una confisca di tutti i loro beni ed averi, tanto essendo dotati di grande talento truffaldino e arte del ladrocinio, non posseggono nulla, probabilmente, come frutto di lavoro onesto, professionale e sudato.
E siccome abbiamo ancora qualche barlume d’umanità e di pietà, per fortuna, l’augurio è di vederli sì nella polvere ma titolari solo di una pensione sociale ed inseriti nelle liste d’attesa per accedere ad una casa popolare.
Solo così, forse, riusciranno a capire le nefandezze che hanno commesso. E sarebbe, perché no, un’applicazione della legge del contrappasso e della Nemesi storica. E funzionerebbe.