Una catastrofe sottostimata che provocò danni gravissimi alla salute dell’uomo e degli animali. Un rudere ed un muro rossastro ricordano ai più anziani quell’immane disastro ecologico di cui parlò tutto il mondo. I giovani, a stento, ne sanno qualcosa ma soltanto per sentito dire da genitori e nonni. Poi c’è qualcuno che sul volto porta ancora i segni di quel maledetto luglio afoso di 44 anni fa.
MEDA – Nell’immaginario collettivo cosi come nel linguaggio popolare Seveso è sinonimo di diossina. 44 anni dopo da quel terribile 10 luglio 1976 quando da un reattore surriscaldato dell’Icmesa, una fabbrica di prodotti chimici di Meda, si sprigionava una nube tossica composta dalla più velenosa delle diossine allora conosciute, tutto tace. Il vento aveva poi trasportato il letale componente chimico, in quantità enormi mai accertate, per quasi tutta la pianura Padana giungendo sino a Milano. Le conseguenze erano state catastrofiche: centinaia di casi di cloracne e 700 sfollati oltre a 80.000 capi di bestiame contaminati.
Gli interventi in favore della salute pubblica, predisposti dal governo Andreotti, furono diversi fra cui l’autorizzazione all’aborto (il referendum si sarebbe svolto due anni dopo) per le donne incinte con l’espianto dei feti poi trasportati in laboratori di biologia tedeschi nel tentativo di studiare presunte modifiche alla struttura fisica e psichica di cui sarebbero stati affetti i bambini mai nati. La reale portata degli effetti della contaminazione rimane incerta ancora oggi: nel 2008 uno studio ha collegato alla diossina l’aumento delle malformazioni neonatali nell’area di Seveso mentre sarebbero ormai certe le relazioni tra diossina e aumento dei tumori in zona. La fabbrica della morte, l’Icmesa (acronimo di industrie chimiche Meridionali), aveva sede a Meda dagli anni ’40 e produceva farmaci. Nel 1960 la fabbrica era stata acquistata dal gruppo La Roche le cui maestranze, ben presto, entrarono in conflitto con gli abitanti della zona che accusavano l’azienda farmaceutica di inquinamento del torrente Certesa e di contaminazione del bestiame allevato in loco.
Alle 12.37 di quel terribile sabato 10 luglio 1976 il sistema di controllo di un reattore chimico si guastava senza rimedio. La temperatura, salita oltre i limiti, innescava una reazione che portava all’immediata formazione di circa 400 chili di diossina Tcdd, una delle più tossiche e pericolose, che veniva poi sparsa dal vento su Seveso, comuni limitrofi sino a Milano. Le istituzioni locali venivano avvisate soltanto il giorno dopo mentre tra la popolazione si contavano i primi casi gravi di cloracne, una sorta di eruzione cutanea con vistose incisioni sulla pelle. Diverse centinaia di animali e piante erano morti fin dai primi giorni mente squadre speciali di soccorritori con tute di protezione integrale suddividevano in tre zone le aree contaminate in base al rilevamento di quantità di diossina nei terreni agricoli e non. Il processo di bonifica diventava lento e difficile. Solo nel 1981 venivano realizzate due vaste fosse impermeabili dove gettare migliaia di tonnellate di terreno contaminato che ancora oggi sarebbe costantemente sotto controllo. La zona A, quella più inquinata, veniva poi ricoperta di terra prelevata in zone non infettate dove sono stati piantati migliaia di alberi che oggi compongono il Bosco delle Querce dove il comune ha realizzato alcune strutture aggregative per giovani e anziani.
Sul fronte dei risarcimenti i soldi arrivarono prima, nel 1980. Il gruppo Givaudan-Roche e la regione Lombardia si accordarono per un risarcimento di 103 miliardi e 634 milioni di lire di cui 7 miliardi per lo Stato, 40 miliardi e mezzo per la Regione, 47 ai programmi di bonifica e 23 destinati alla sperimentazione. I danni subiti dai cittadini, come sempre nel Bel Paese, furono liquidati nel giro di tre anni per un totale di 200 miliardi di lire. Dell’Icmesa oggi non rimane quasi più nulla. Un rudere ed un muro rossastro ricordano ai più anziani quell’immane disastro ecologico di cui parlò tutto il mondo.
I giovani, a stento, ne sanno qualcosa ma soltanto per sentito dire da genitori e nonni. Poi c’è qualcuno che sul volto porta ancora i segni di quel maledetto luglio afoso di 44 anni fa. Sotto il parco la diossina dorme ma è sempre pronta a risvegliarsi. E se la tanto agognata autostrada Pedemontana forse non si farà lo dobbiamo ai tassi troppo alti del veleno chimico rilevati nel sottosuolo tra Meda e Seveso. Come dire: occhio, un’altra catastrofe è sempre in agguato.