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La montagna ha sete: chi le offre da bere?

Il cambiamento climatico e la siccità stanno mettendo a dura prova esseri umani e natura. La montagna soffre particolarmente, mancano acqua e foraggi per gli allevamenti.

Le montagne muoiono di sete. Sono anni che si parla di tropicalizzazione del clima, con improvvise piogge torrenziali che si sovrappongono ad ondate di calore da deserto del Sahara. La montagna soffre per la siccità infatti nella Valcamonica in Lombardia, sembrano confermare questa tesi. Ovvero: un esempio emblematico di cosa produce il riscaldamento climatico in montagna. Prima c’è stata l’emergenza idrica dovuta all’eccesso di caldo che ha costretto alcuni comuni a razionare l’acqua. Poi, quasi come una legge del contrappasso, si sono verificate piogge torrenziali ed esondazioni, che hanno prodotto danni a cose ed abitazioni sommerse da detriti e fango. Per fortuna, non ci sono stati morti.

Secondo i meteorologi è tutto frutto del cambiamento climatico che fa sentire i suoi drammatici effetti anche sulle zone montuose. La siccità in montagna colpisce e, con le temperature superiori alla media, crescono, conseguentemente, i consumi idrici. Ma in alta montagna di acqua ce n’è sempre meno. A patirne le conseguenze più devastanti sono quei comuni sprovvisti di acquedotto a valle, che si barcamenano come possono. O riforniscono i bacini con le autobotti o razionano l’acqua per uso domestico o alimentare.

Ma, spesso, questi palliativi si rivelano inutili. Più si raggiunge la vetta della montagna, più sono dolori. Ad esempio, sul Monte Bianco, il rifugio Gonella ha tolto le tende ed il 18 luglio scorso ha chiuso per “siccità“. Le previsioni sono fosche, perché se continuerà a fare così caldo, un rifugio su quattro dislocati su Alpi e Appennino è a forte rischio chiusura.

Riserve d’acqua in Giappone

Molti gestori, hanno sostenuto che, già a fine luglio, le riserve d’acqua si sono ridotte ai livelli, che, normalmente, si manifestano a fine agosto. Le conseguenze per gli allevamenti sono ancora più devastanti. Infatti, le attività agro-zootecniche che si svolgono in montagna nei periodi estivi (alpeggio) non sanno più a che santo votarsi.

Con pozze e vasche in secca e l’erba bruciata dal sole, il bestiame rischia di morire di sete e di fame. Molti addetti al pascolo hanno deciso di anticipare di un mese il taglio del fieno, nella speranza di salvare il salvabile. Le povere bestie sono a rischio anche per un ulteriore motivo. A causa del caldo e dell’erba secca, gli animali sono costretti a spostarsi alla ricerca di foraggi e di acqua, mettendo a dura prova le articolazioni.

Si cerca di arrangiarsi come si può: trasportando in vetta cisterne e condotte coi trattori, considerato che quest’anno la neve si è, praticamente, fatta di nebbia. D’altronde lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi, sembra quasi lunare. I fiumi e i torrenti sono rivoli di acqua torbida dovuti alla fusione dei ghiacciai. I laghetti alpini sembrano pozzanghere, come quelle che si formano in città dopo un temporale. Le sorgenti sono quasi completamente a secco. Questa situazione manifesta tutta la sua crudezza sull’economia del settore. La produzione casearia è, infatti, ridotta ai minimi termini. Su questo aspetto ha inciso fortemente anche il rialzo dei costi di materie prime ed energia.

Il lago di Fregabolgia in provincia di Bergamo, esempio di lago in secca

Per questi motivi, alcuni allevatori hanno deciso di anticipare di due mesi la transumanza a valle di ovini e bovini. Troppo rischiose le condizioni di siccità in montagna per tenere aperti i pascoli in quota! Se la pioggia continuerà a farsi desiderare e a restare nascosta tra le nubi, il cibo da dare agli animali, col rientro a valle per cause di forza maggiore, rischia di essere insufficiente. L’unica alternativa è l’acquisto a costi esorbitanti di foraggi e mangimi. Com’è evidente, l’emergenza siccità è anche economia in frantumi, con tutti gli effetti negativi che si ripercuotono sull’ambiente e le persone. Questa criticità ha destato l’interesse delle associazioni per l’adattamento alla crisi climatica, che in un appello hanno sottoscritto:

“La grave crisi idrica in corso è senza dubbio da inquadrare nella epocale crisi climatica ed ecologica in atto e come tale va approcciata in modo strutturale, affrontando le cause e non correndo dietro ai sintomi. Bisogna dunque evitare risposte emergenziali e analizzare il problema con freddezza per individuare le soluzioni. La crisi climatica e la siccità non guardano in faccia a nessuno, neanche alla crisi del governo. Serve un’azione politica che vada oltre l’emergenza con la messa in atto di efficaci “piani ordinari“. Per mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici sono necessarie misure ragionate e strutturali che guardino al medio e al lungo termine, pensando all’ambiente che lasceremo alle future generazioni”.

Questo appello è stato firmato da varie associazioni, tra cui Club Alpino Italiano, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness e WWF Italia. Credere che la nostra classe politica, impegnata com’è nella campagna elettorale e a guadagnarsi le cadreghe sui cui poggerà i suoi luridi deretani, possa ascoltare un appello di questo tipo, è una pia illusione!

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