Il conto è pronto: ma i soldi non ci sono

Pagheremo il cambiamento climatico, pagheremo la siccità e i gas serra, e li pagheremo cari. Intanto la transizione green continua ad aspettare. E noi italiani continuiamo a sprofondare.

Roma – Pagheremo caro, pagheremo tutto! Il cambiamento climatico è diventato uno dei temi più presenti nell’agenda politica dei vari governi mondiali e uno dei più dibattuti dall’opinione pubblica. Il World Economic Forum (WEF), fondazione senza fine di lucro, ogni inverno organizza a Davos in Svizzera un summit tra esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionale, col contributo di intellettuali e giornalisti per fare il punto sui problemi più scottanti in materia di salute e ambiente. Scottanti è proprio l’aggettivo più adatto, visto la calura oltre misura di questi giorni!

Ed, infatti, il WEF sta mostrando grande attenzione al riscaldamento climatico. Alcune tra le più prestigiose teste d’uovo mondiali si sono posti le seguenti domande: Quali sarebbero gli effetti se si manifestasse indifferenza al cambiamento climatico, non riuscendo a contenere l’aumento della temperatura oltre 1,5 gradi? Quanto inciderebbe sui costi dell’economia quest’atteggiamento? Ebbene, ci ha pensato il Global Turning Point Report 2022 a cura di Deloitte, ad offrirci dei dati e delle risposte poco rassicuranti. Deloitte è una delle più grandi aziende a livello mondiale, che offre servizi di consulenza, revisione contabile e informatica.

Se dovesse continuare l’indifferenza dei decisori politici o peggio il menefreghismo e la temperatura globale continuasse la sua folle ascesa, il rischio economico nei prossimi 50 anni potrebbe raggiungere l’iperbolica cifra di 178 trilioni di dollari, con una perdita media annua del PIL del 7,6%.

Di contro, se si accelerasse con incisività il processo di decarbonizzazione, l’economia potrebbe ricavarne, sempre nello stesso periodo, 43 trilioni di dollari. Secondo il report urge un sovvertimento degli stili di vita, di consumo e di produzione, insieme ad un uso intensivo delle nuove tecnologie e a un ri-orientamento dei flussi di capitale.

Per mettere in atto questi propositi, bisogna soddisfare alcuni condizioni: collaborazione tra pubblico e privato; investimenti per mutamenti strutturali nell’economia globale per dare una spinta decisiva verso la transizione verde; ogni area geografica deve saper governare le fasi in cui i vantaggi della decarbonizzazione sono superiore ai costi; la struttura economica e sociale territoriale deve puntare su un’economia capace di una crescita a livelli superiori rispetto ad una ad alta intensità di carbonio.

C’è un aspetto particolare che riguarda il Mar Mediterraneo e l’Italia. Il primo ha anticipato quello che è diventato un trend standard, ovvero, la crescita della temperatura media globale.

L’Italia, con un riscaldamento globale di 3° C, potrebbe subire gravissime criticità economiche, ambientali e per la salute. Una situazione del genere causerebbe costi pari a 115 miliardi nel 2070, pari ad una decrescita del PIL del 3,2%.

Un’altra gravità è rappresentata dalle risorse idriche carenti in tutta la zona mediterranea e la crisi degli ultimi tempi che stiamo vivendo in Italia, con conseguente siccità, ne è la tragica testimonianza. Uno scenario terribile e prospettive devastanti per chi è giovane adesso o nasce in questo periodo: bel mondo lasceremo loro!

Negli anni ’70 del secolo scorso divenne famoso uno slogan: Pagherete caro, pagherete tutto, coniato dal movimento extraparlamentare di sinistra Lotta Continua. Veniva gridato a squarciagola nelle piazze italiane, perché per compiere l’assalto al cielo, come si diceva allora, ovvero la rivoluzione comunista, le istituzioni borghesi avrebbero dovuto pagare caro e tutto.

E’ uno slogan che ritorna in mente per il semplice motivo che basta cambiare la coniugazione del verbo e sostituire al voi il noi per diventare: Pagheremo caro, pagheremo tutto. Tutti, nessuno escluso, se non ci svegliamo!

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