Il Belpaese è ultimo in Europa per parità di genere nel lavoro. I dati del report EIGE 2022 sul gender gap mostrano le differenze retributive e di ruolo nell’occupazione femminile.
Qualche giornalista, confondendo il gender gap per una competizione sportiva, avendo letto che siamo primi in Europa, ha esultato come se avessimo vinto la medaglia d’oro. La reazione è stata considerata tipica del riflesso condizionato, ossia la risposta che il soggetto dà alla presentazione di uno stimolo condizionante. Il nostro eroe scrivendo solo di sport, quando sente che l’Italia è prima, d’acchito, è portato ad esultare! In realtà il primato non è che rende la nostra nazione orgogliosa di esso, tutt’altro.
Malgrado, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, un presidente del consiglio sia donna (Giorgia Meloni), secondo cui grazie al suo governo l’occupazione femminile è cresciuta, non è dello stesso avviso l’Europa. L’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ha dichiarato che l’Italia è ultima nella classifica sulla parità di genere nel lavoro. Non è una novità, perché sono ben 14 anni che ci confermiamo i peggiori in Europa. Il report, riferendosi al 2022, ha valutato una serie di fattori: salute, denaro, gestione del tempo e del lavoro, e domini di potere. Se nel settore salute non siamo messi così male, è la categoria lavoro che incide pesantemente sul risultato finale.
Secondo l’Eige, pare che ci sia una certa ritrosia tra le donne ed il lavoro full-time. Nel senso che nell’anno considerato, l’occupazione femminile a tempo pieno era del 32%, mentre quella maschile del 52%. Una percentuale che dovrebbe far drizzare le antenne a tutti i soggetti politici e sociali in campo, perché un divario di queste proporzioni è inammissibile in una società civile! Si tratta della percentuale più bassa di donne occupate full-time in Europa e il dato riguardante le coppie con figli è ancora più vistoso. Inoltre, va aggiunto che la differenza retributiva in Italia –come ha documentato recentemente l’Istat- tra donne e uomini, è ancora molto alta. Infine, le donne lavorano un numero di anni inferiore agli uomini, in media 28 e 37 anni rispettivamente. Una siffatta situazione non può che provocare un rischio di povertà più elevato.
Anche i dati riferiti al 2022 confermano questa tesi, infatti riguardavano per il 21% le donne e per il 18% gli uomini. Questi numeri non avevano nessuna correlazione con il tipo di famiglia, l’istruzione, origine geografica, condizioni di disabilità. Tutti parametri che, al contrario, hanno influito nella fascia d’età tra i 50 e 64 anni. Infatti, donne e uomini hanno raggiunto la stessa percentuale, 18%.
Il fenomeno è spiegabile anche col maggior tempo che il sesso femminile dedica alla cura della famiglia e degli anziani rispetto ai maschi, che tendono a defilarsi. Nell’anno in esame, infatti, le faccende domestiche quotidiane erano a carico delle donne per il 72%, mentre solo il 34% degli uomini. Le stesse dinamiche si attuano per la gestione dei figli e per i genitori anziani a carico. E ci si meraviglia che la loro vita lavorativa sia più breve degli uomini e, quindi, meno remunerativa? L’avvento di Giorgia Meloni come Presidente del consiglio fu salutato da molte come un segnale favorevole per tutte le donne del Paese. I fatti dicono il contrario. Il report di Eige ha indicato la quota di donne tra i ministri: è calata dal 31% del 2023 al 30% del 2024. Se la politica e la società sono una l’immagine dell’altra, c’è poco da stare allegri e, ancora, tanto da pedalare!