Non ci sono più i Pasolini di una volta. Già nel ’67, il filosofo francese Debord aveva intravisto la trasformazione della società.
Roma – Gli intellettuali, questi desaparecidos! Nel secolo scorso, quando accadevano fatti eclatanti dal punto di vista sociale e politico, per l’opinione pubblica, esisteva una figura, “l’intellettuale”, la cui sapienza procurava ammirazione e rispetto. Oggi, secondo alcuni, pare che siano scomparsi, o se esistono stanno chiusi nelle loro cerchie di appartenenza. In passato, per decenni si è imposta una definizione illuministica super partes di intellettuale, che grazie al proprio prestigio ed autorevolezza rappresentava la coscienza critica della società.
L’ultimo in questo senso, anche se schierato a sinistra, ma che riusciva a scaldare i cuori dell’opinione pubblica, piaccia o no, è stato Pier Paolo Pasolini, soprattutto per la sua critica alla società dei consumi, intesa, come nuovo totalitarismo. Oggi una figura simile, che critica la complessità, è impossibile che possa emergere. Questo succede perché domina la tecnologia che ha fatto “tabula rasa” delle narrazioni dotate di senso del ‘900, vittime dei concetti basilari del mondo d’oggi: immediatezza, scambio e identità. Per la prima categoria i fatti vengono commentati sui social, senza bisogno di intermediari. Un ruolo quest’ultimo di cui proprio l’intellettuale veniva investito, soprattutto nella messa in crisi di interpretazioni stereotipate. L’approfondimento, il ragionamento appaiono in contrasto con la velocità degli strumenti tecnologici, in quanto sono lenti e con troppe argomentazioni.
Per la grande giostra dell’informazione globale le news devono essere snelle, nette, accumulabili. Il sistema vuole che le informazioni non siano comprese, ma scambiate, in una sorta di mercimonio delle stesse. Ridurre il tutto in tanti minuziosi particolari, produce una mancanza di comprensione d’insieme. Proprio perché la complessità sembra scomparsa dal dibattito pubblico, ecco che emergono tante parzialità con cui si tenta di comprendere la totalità dei fenomeni sociali. Ce n’è per tutti i gusti, ognuno può trovare l’approccio che più gli aggrada, chiuso nel proprio ghetto e difenderlo con le unghie e con i denti, per scacciare qualsiasi accenno di contaminazione. In un ambiento siffatto, l’intellettuale vecchia maniera non ha ragione d’essere, ma nemmeno uno di altro genere.
Nel senso che servono più venditori e testimonial, che stimolano la vendita di un prodotto e/o servizio, perché sono tempestivi e agevolano il consumo delle merci. C’è uno stretto legame tra il testimonial ed il prodotto, in quanto se il prodotto va bene, aumenta la sua autorevolezza nel mercato delle opinioni. Ed è questa interdipendenza tra merce ed idee che fa inorridire, ma d’altronde è figlia dei tempi. Ha preso il sopravvento lo spettacolo rispetto al sapere. D’altronde già nel 1967, lo scrittore e filosofo francese Guy Debord, nel saggio “La società dello spettacolo” descrisse la moderna società delle immagini come una mistificazione volta a giustificare i rapporti sociali di produzione vigenti. Beh, se alla parola “immagini” inseriamo “tecnologia” il risultato e, più o meno, simile, con forme di realizzazione diverse, perché diversi sono i contesti!