Che esista una stretta correlazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del Sars-Cov-2, ormai, lo hanno confermato diversi studi scientifici. L’ultimo, in ordine di tempo, a cura del Dipartimento di Epidemiologia del Lazio, ha ribadito quest’ipotesi.
Roma – L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha raccomandato di fare attenzione a 72 città italiane dove l’anno scorso si sono superati i limiti di polveri sottili Pm 10, ovvero il particolato scaturito soprattutto dal riscaldamento. Dati confermati dal report annuale “Mal’aria di città 2023”, a cura di Legambiente. A rischio, com’è ovvio, sono le città industriali più popolate, mentre, com’è noto, entro il 2030 bisognerà allinearsi ai nuovi limiti imposti dall’Unione Europea (UE).
La ricerca si è concentrata su Roma (1,5 milioni di abitanti) e la possibile attinenza tra inquinamento atmosferico e mortalità causata da Covid-19, eccetto altri fattori di rischio, quali l’età, le condizioni socioeconomiche, la storia clinica e le caratteristiche topografiche da gennaio 2020 ad aprile 2021. È emerso che l’esposizione nel lungo periodo allo smog è strettamente collegata a un incremento della mortalità tra i pazienti con Covid-19, ma non all’effetto concomitante del virus nella popolazione generale.
Secondo la Società italiana di medicina ambientale (Sima) (una branca multidisciplinare della medicina che studia l’influenza dei fattori ambientali sull’insorgenza delle patologie) molti sudi hanno evidenziato i vari impatti (infezioni, ricoveri e mortalità) che il Covid-19 ha provocato nelle diverse aree geografiche, sulla base dell’inquinamento atmosferico più o meno intensivo e della diffusione di aree verdi. In dettaglio: 1 chilometro quadrato di aree verdi urbane per 100mila abitanti, equivale a circa 68 contagi in meno e 115 decessi evitati. L’aumento dell’inquinamento, con un incremento di 1 microgrammo per metro cubo di Pm2.5 (polveri sottili) ogni 100mila abitanti, equivale a 367 contagi in più e 796 morti evitabili.
La causa scatenante, come ha rivelato uno studio condotto da Sima prima del lockdown, è dovuta alle polveri sottili atmosferiche che fanno da veicolo del virus in determinate condizioni di stabilità atmosferica, peculiari della Pianura Padana nei mesi invernali. È come se il virus, grazie alle Pm 2.5, avesse viaggiato su un treno ad alta velocità senza pagare il biglietto. Inoltre, questi studi si sono concentrati sugli ambienti confinanti aperti al pubblico, in cui il virus si è diffuso per il mancato utilizzo di mascherine FFP2, di sistemi di ventilazione meccanizzata e di purificazione dell’aria. In seguito, l’OMS e i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie negli USA hanno confermato che si tratta di un virus veicolato dall’aria tramite aerosol di particelle fisiologiche infette.
Debellare il virus attraverso i vaccini va bene, ma è come mettere una toppa ai sintomi e non alle cause. Le autorità politiche e istituzionali, che sono provviste del potere decisionale per prendere provvedimenti, finora, non pare che abbiano una visione chiara su come debba essere una grande città a misura del benessere cittadino. Pensano ad altro, ad esempio a come intascare tangenti, come è successo, ad esempio per il recente scandalo che ha coinvolto il Parlamento europeo, il “Qatargate” per influenzare in positivo l’immagine del Paese arabo, dove, tra l’altro, si sono svolti gli ultimi Mondiali. Mentre nelle grandi metropoli si muore di tumore ai polmoni, malattie respiratorie, asma e BCPO (Broncopneumopatia cronica ostruttiva) e, infine, di Covid-19.