Tremila interventi dei vigili del fuoco in una settimana. Soltanto ieri domati 380 focolai attivi, ma il fronte del fuoco non demorde.
Palermo – La Sicilia continua a bruciare. Un’emergenza che in questi giorni ha già provocato oltre 2.000 ettari di territorio andati in fumo, con incendi che stanno devastando riserve naturali, aree agricole e zone abitate. I roghi hanno toccato quasi tutte le province, con 50 abitazioni evacuate nel Trapanese, danni incalcolabili alla biodiversità e una situazione fuori controllo che riaccende le polemiche sulle mancate strategie di prevenzione.
Colpite aree iconiche anche dal punto di vista turistico e naturalistico, come Monte Cofano, San Vito Lo Capo, la Riserva dello Zingaro, Makari e Custonaci, rese celebri anche dalla fiction Rai Makari. Gravi le perdite anche nel Nisseno, con la sughereta di Niscemi in parte distrutta, nel Palermitano (Piana degli Albanesi), nel Calatino, nell’Ennese e lungo i versanti etnei, tra Biancavilla e Ragalna, dove un campo scout è stato evacuato. Brucia anche Cava Grande del Cassibile, nel Siracusano. La stima provvisoria dei Vigili del Fuoco parla di circa 3.000 interventi in meno di una settimana.
Secondo il comandante regionale dei Vigili del fuoco, Agatino Carrolo, a peggiorare la situazione sono state le temperature estreme, il forte vento e l’alta suscettibilità all’innesco, che hanno favorito il propagarsi incontrollato dei roghi. Solo nella giornata di ieri sono stati domati 380 focolai attivi sull’isola, con centinaia di operatori impegnati in un lavoro incessante.
Legambiente Sicilia lancia l’allarme: “Sta bruciando il nostro inestimabile patrimonio di biodiversità. Il danno è ambientale ma anche culturale ed economico”. L’associazione chiede interventi strutturali, il potenziamento dei presidi sul territorio e un maggiore utilizzo delle forze dell’ordine e, se necessario, dell’esercito, in caso di allerte meteo. Oltre ai boschi e alle riserve naturali, a essere colpiti sono anche i campi coltivati, le aziende agricole e gli allevamenti. I danni economici sono già incalcolabili, e si sommano a una crisi idrica aggravata dalla siccità. A peggiorare il quadro, paradossalmente, ci sono problemi infrastrutturali che impediscono l’utilizzo delle scorte d’acqua presenti.
Un esempio emblematico arriva dalla diga Ogliastro, dove l’acqua c’è, ma non può essere distribuita per le gravi perdite nelle condotte, che disperdono fino al 50% della risorsa. “Dopo anni di siccità, l’inefficienza delle reti idriche è il colpo di grazia”, denuncia Giosuè Catania, presidente di CIA Sicilia Orientale, che chiede interventi immediati e risolutivi. Le associazioni di categoria e i sindacati, come la CNA Sicilia, parlano di “catastrofe annunciata”. Il presidente Filippo Scivoli e il segretario Piero Giglione chiedono l’attivazione urgente di un protocollo regionale d’emergenza, coinvolgendo Protezione Civile, volontari, forze dell’ordine e rappresentanze produttive. Dure anche le critiche al governo regionale guidato da Renato Schifani, accusato di assenza di una programmazione strategica. Il presidente si difende parlando di “attacchi ingiusti” e sottolineando la “prontezza nella risposta”.
Secondo il report di Legambiente “L’Italia in fumo”, la Sicilia si conferma anche quest’anno la regione più colpita: 16.938 ettari andati in fumo. Una cifra che fotografa una realtà drammatica, a cui si aggiungono le preoccupazioni per nuove ondate di calore legate alla crisi climatica. Per molti agricoltori e allevatori, ormai esausti, la Sicilia è diventata un caso europeo, non più solo regionale. Serve una svolta concreta e immediata, altrimenti – denunciano – il rischio è la desertificazione economica e ambientale dell’isola.