In attesa di una legge ferma da anni, il consumo di suolo ci sta distruggendo: finora sull’ambiente solo parole

Un territorio in buono stato produce molti vantaggi, ma né la politica né le amministrazioni a quanto pare sembrano accorgersene.

Roma – Il consumo di suolo è uno dei fattori che determinano gravi rischi idrogeologici e sismici. Eppure, malgrado sia gli uni che gli altri continuano a tenerci una… indesiderata compagnia, come dimostrano i recenti alluvioni e terremoti, si continua a fare come gli struzzi, mettendo la testa sotto la sabbia. Infatti il consumo di suolo continua, in Italia, ad essere incessante.

I dati diffusi dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) relativi al 2022 ci hanno informato che sono stati eliminati ben 77 kmq di suolo. Il consumo procede ad un ritmo incalzante, equivalente a più di 2 mq al secondo e più di 21 ettari al giorno. A dimostrare che l’obiettivo di azzerarne il consumo è molto distante da essere raggiunta. La diffusione è su tutta la superficie nazionale, pari a 21.500 kmq, comprendendo anche fiumi e laghi.

C’è da segnalare una buona notizia che giunge dal Meridione. Ercolano, 50 mila abitanti in provincia di Napoli, ha mostrato di essere una cittadina virtuosa con solo 0,2 ettari di suolo consumati in più nel 2022. All’incirca 900 ettari fanno parte di zone a medio rischio idrogeologico, 2500 in aree a medio-alto pericolo sismico e 530 in quelle a rischio frana. Non c’è che dire: proprio una prospettiva… incoraggiante! Il terreno strappato al suo naturale destino, viene utilizzato dai poli logistici e dalla grande distribuzione organizzata. Inoltre, dalle grandi infrastrutture, edifici, piazzali, parcheggi. Finanche gli impianti fotovoltaici partecipano alla sottrazione, in quanto per installarli si utilizzano circa 500 ettari di terreno.

Un territorio in buono stato, oltre, a produrre vantaggi per l’ambiente in generale, rappresenta un alto valore economico e sociale per la sua fornitura di servizi ecosistemici. Ne ricordiamo alcuni: alimenti; materie prime; biomassa legnosa; servizi di regolazione del clima; sequestro e stoccaggio del carbonio; controllo dell’erosione; regolazione della qualità dell’acqua; protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi; biodiversità. La perdita di questi servizi, come ha sottolineato l’ISPRA, costa all’Italia 9 miliardi di euro all’anno. Un altro aspetto deleterio è che più si consuma suolo nelle città, più cresce la temperatura, a conferma dello stretto legame che esso ha con l’ambiente.

Nel 2021 la Commissione europea ha ratificato la “Strategia 2030 dell’Unione Europea per il suolo”, che mette al primo posto la salute del suolo come strumento per attuare il Green Deal europeo. Quest’anno, inoltre, è stata presentata la “Direttiva sul monitoraggio e la resilienza del suolo”. Lo scopo è di avere uno stato di buona salute entro il 2050. Per quanto riguarda il Belpaese, il “Piano per la transizione ecologica” (PTE), ha previsto di raggiungere il consumo zero entro il 2030.

Con l’agire politico della nostra classe dirigente si tratta di previsioni in contrasto con i dati a disposizione sull’argomento e, alquanto megalomani. Come si fa a raggiungere un traguardo di questo tipo, se, come ha ribadito Legambiente, manca una legge che punisca il consumo di suolo, che giace dormiente, da anni, chissà in quale cassetto del Parlamento? L’ottimismo della volontà ci induce a sperare che il governo si dia una mossa al riguardo. Il pessimismo della ragione, invece, ci suggerisce che sperare va bene, ma come recita un motto popolare: “Chi di speranza vive, disperato muore”!

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