IL TORMENTO DEL POPOLO ARMENO: LA GEOPOLITICA NON PERDONA

La situazione di Azeri e Armeni continuerà ancora a lungo perché cosi conviene da quando Stalin decise il controllo dei nazionalismi. La sua nefasta influenza è giunta inalterata ai giorni nostri.

Non c’è pace per l’Armenia e il suo popolo. Anche dopo l’armistizio con l’Azerbaijan, che ha visto nella parte di grande mediatrice la Russia di Putin, sono scoppiati disordini nella capitale Yerevan dove la gente è scesa in piazza a protestare contro quella che definisce “una resa disonorevole“.

Contemporaneamente nella capitale azera Baku si poteva assistere ad una sfilata di auto che suonavano il clacson per festeggiare quella che ritengono invece “una grande vittoria“. Ma cosa è accaduto davvero tra queste due nazioni in guerra ormai da quasi trent’anni?

Scontri a Yerevan

Il pomo della discordia è sempre la Regione del Nagorno Karabakh, un’enclave armena che Stalin aveva assegnato all’Azerbaijan per controllare i nazionalismi locali. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica quella fetta di superficie era rimasta in territorio azero, ormai divenuto uno stato indipendente.

La guerra che si era consumata tra il 1992 e il 1994 per il controllo della regione tra Armenia ed Azerbaijan aveva portato alla proclamazione della “Repubblica Automoma del Nagorno Karabakh“, praticamente riconosciuta da nessuno. Dopo le schermaglie del 2016 il conflitto, rimasto congelato (cd. “frozen conflit”) per ventisei anni, è ripreso nello scorso mese di Settembre con l’attacco delle truppe azere stimolate e supportate dalla Turchia di Erdogan che non ha lesinato l’utilizzo di milizie jiadiste per aiutare gli Azeri a riconquistare il territorio perduto.

E finalmente si è giunti all’armistizio dopo settimane di scontri, intervallati da cessate il fuoco che nessuno dei due contendenti ha rispettato. Il trattato a firma del presidente Putin e dei leader politici di Armenia e Azerbaijan prevede l’acquisizione dei territori conquistati sul campo dagli Azeri, l’avvio di trattative per concordare lo status definitivo del Nagorno Karabakh e l’invio di truppe pacificatrici russe e forse anche turche.

Milizie Jiadiste

L’Armenia è riuscita a conservare parte dei territori riconquistati nel 1994 con l’eccezione della città strategica di Shusha, ma questo non basta ai nazionalisti che hanno fomentato manifestazioni di protesta davanti al Parlamento e al Palazzo del Governo di Yerevan.

E non solo. Le proteste si sono spostate verso la casa del primo ministro Nikol Pashinyan poi devastata e saccheggiata dai manifestanti inferociti. A un certo punto si è diffusa la voce che lo stesso Pashinyan avrebbe lasciato il Paese e sarebbe fuggito all’estero, ma questa notizia non ha trovato alcun riscontro.

Nikol Pashinyan

Il presidente dell’Armenia parla di nuove ed inevitabili elezioni e i partiti nazionalisti stanno già “affilando le armi“, consapevoli di avere una grande occasione per riprendere la guerra dopo il rinnovo del Parlamento. Di una cosa possiamo essere certi: il conflitto per il Nagorno Karabakh è pronto “a scongelarsi” di nuovo e ad avere la peggio saranno sempre quei cittadini tanto Armeni quanto Azeri che dovranno abbandonare le loro case ancora una volta.

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica la zona del Caucaso meridionale è sempre stata “molto calda“, la geopolitica non perdona e le conseguenze delle scelte di Stalin si avvertono purtroppo ancora oggi.

 

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