Lo scandalo che ha travolto il Parlamento Europeo, probabilmente il più grande nella storia delle istituzioni comunitarie, ha portato di nuovo alla ribalta la vecchia e mai risolta questione dei gruppi di potere.
Roma – Il potere delle lobby è emerso con tutta la sua virulenza corruttiva con lo scandalo “Qatargate”. Il termine utilizzato dal linguaggio giornalistico sta a indicare l’indagine della magistratura belga contro alcuni parlamentari europei dell’area socialista, rei di essere stati corrotti, con volgari ma allettanti “mazzette” per ammorbidire la posizione dell’Unione Europea (UE) nei confronti del Qatar, che ha ospitato i recenti mondiali di calcio.
È noto il disprezzo del Paese mediorientale per i diritti umani e delle donne, nonché per lo sfruttamento dei lavoratori, migliaia dei quali, sacrificati sull’altare del “Dio del Pallone”. Con lo scandalo ancora in corso si è riproposta l’annosa questione di come regolamentare le lobby. Dal punto di vista teorico una lobby non è altro che un gruppo di pressione con lo scopo di orientare le scelte della politica su un’idea o un determinato settore. Questa strategia viene attuata, ad esempio, con campagne mediatiche, sensibilizzazione dell’opinione pubblica e sovvenzione di ricerche scientifiche.
La sua modalità di azione, spesso, avviene alla luce del sole, tanto che si usa il termine di “lobbying diretto”. Si effettuano, infatti, incontri coi politici, durante raduni calendarizzati. Lo scopo può essere, ad esempio, di ottenere leggi favorevoli per l’approvazione di nuovi prodotti o incentivi fiscali. A volte questa strategia viene messa in campo col “lobbying indiretto”. Ovvero, si possono commissionare sondaggi d’opinione, organizzare convegni, manifestazioni e quant’altro. L’obiettivo può essere una modifica legislativa o la conservazione dello status quo. In quest’ultimo caso, è nota la “pressione” esercitata dalla lobby delle armi negli USA, quando si tenta mettere sotto controllo la circolazione, così libera, di armi di ogni tipo.
In Italia ci sono due pubblici registri delle lobby. Uno presso il Ministero per lo Sviluppo economico e un altro alla Camera dei deputati. Ma si tratta solo di un mero elenco, senza entrare nel merito dei dati forniti e delle attività e l’attendibilità delle stesse è affidata alla lobby stesse. Come chiedere all’oste com’è il vino! Non viene effettuato, infatti, alcun tipo di controllo. Al Parlamento europeo esiste il Registro per la trasparenza. Ma anche questo è solo un elenco delle registrazioni e delle persone accreditate. Però, pare che non ci sia l’obbligo di depositare bilanci. Esiste, anche, un “lobbismo sociale” che è quello messo in atto, ad esempio, da università, istituzioni sanitarie e religiose, associazioni ambientaliste e dei consumatori e simili.
È chiaro che il pericolo è rappresentato dalle lobby che agiscono sottotraccia, in maniera occulta e illecita. È vero che una buona parte di esse rappresentano interessi leciti e sono allineate alla natura di legalità e trasparenza delle istituzioni democratiche. Ma, è altrettanto vero, che alcune nel corso degli anni se ne sono allontanate. Accanto a compartimenti corruttivi come nel “Qatargate”, esistono espedienti borderline, legali sì, ma discutibili dal punto di vista della moralità e dell’opportunità politica. Si tratta della gestione di “movimenti di opinione”, in apparenza spontanei, nei fatti pilotati. È il cosiddetto “astroturfing”, una tecnica del marketing con cui si crea a tavolino un supposto consenso proveniente dal basso, per poter poi farsene portavoce nei confronti delle istituzioni politiche, grazie al consenso popolare così ottenuto.
“Dove ci sono i soldi c’è corruzione” recita un antico adagio popolare. E poiché in politica, almeno così com’è stata concepita finora, ne servono a vagonate, la corruzione e la malversazione sono solo le debite conseguenze. Così è (se vi pare), tanto per parafrasare il titolo dell’opera teatrale di Luigi Pirandello.