Si moltiplicano i fenomeni meteorologici estremi in Italia e con essi i danni al patrimonio territoriale nostrano. I dati di Legambiente sono impietosi e spingono alla ricerca di soluzioni.
Roma – La struttura idrogeologica del territorio italiano, da anni ormai, ha sempre palesato profonde criticità, tanto che nell’ultimo decennio gli eventi catastrofici si sono moltiplicati. E non è colpa del destino cinico e baro che riversa i suoi malefici su di noi. Ma dell’incuria per il territorio da parte delle istituzioni locali e nazionali nella migliore delle ipotesi. O, peggio, della collusione con affari loschi per favorire la cementificazione selvaggia, spesso gestita dalla longa manus della criminalità organizzata.
I dati sono terrificanti, dai quali sopraggiunge un brivido che ci percorre la schiena. Secondo l’Osservatorio CittaClima di Legambiente, che monitora gli impatti dei cambiamenti climatici sul territorio nazionale, in particolar modo sulle aree urbane, nel 2022 gli “eventi estremi” sono cresciuti del 55% causando danni alle infrastrutture, agli edifici e 29 decessi. Se, come ritenevano gli antichi Greci, gli accadimenti terreni erano il frutto della volontà degli dei, senza dubbio hanno manifestato di avercela a morte con l’Italia. Tra alluvioni, frane, mareggiate, siccità, caldo anomalo, scioglimento dei ghiacciai, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Per la precisione, ci sono stati 310 fenomeni meteorologici estremi che hanno prodotto danni e impatti sull’ambiente.
Molti di questi si sono presentati con le caratteristiche di diverse categorie. Geograficamente, la parte Nord del Belpaese è stata quella più colpita, seguita dal Sud e dal Centro. L’anno scorso si è verificato un incremento notevole dei danni da siccità, cresciuti del 367% rispetto al 2021. Inoltre, quelli provocati da grandinate del 107%, le trombe d’aria e il forte vento del 76% e le alluvioni del 19%. Ancora una volta i dati summenzionati manifestano l’urgenza di una precisa presa di posizione politica, da cui scaturisca un efficace cambio di rotta sugli interventi concreti, che sono improcrastinabili.
Legambiente è del parere che bisogna partire da una politica di interventi a livello nazionale, iniziando dalla riqualificazione degli edifici pubblici e privati e l’incentivazione delle fonti di energia rinnovabile. Inoltre, la costruzione di spazi verdi nelle aree urbane, un’agricoltura e una mobilità sostenibile. Infine la valorizzazione e la difesa delle zone costiere, la protezione delle aree naturale e della biodiversità.
È chiaro che non spetta a Legambiente, essendo un’associazione senza fini di lucro, indicare quali siano le politiche effettive da attuare, quello appena stilato sembra un decalogo delle buone intenzioni. I fatti ci dicono che l’Italia, ancora, non ha un vero piano preventivo per la crisi climatica, che, al contrario produrrebbe risparmi pari al 75% dei costi investiti per riparare i danni. Queste sono le 5 priorità per contrastare la crisi climatica, secondo Legambiente: approvazione de Piano Nazionale di Adattamento al Clima (PNAC); risorse finanziare per attuare il piano; l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) per la riduzione del gas serra; sburocratizzazione dei procedimenti per le autorizzazioni agli impianti delle fonti rinnovabili; sostegno alle Regioni per rafforzare gli uffici che autorizzano gli impianti.
Ora, senza volere mettere in dubbio i buoni intendimenti di queste proposte, la domanda che sorge spontanea è: “È in grado l’esecutivo in carica, legittimato con una larga maggioranza da parte degli elettori, di attuare una politica del genere?”. Nel programma di Governo approvato dal Parlamento, c’è solo una generica enunciazione secondo cui per l’ambiente l’obiettivo è “coniugare sostenibilità ambientale, economica e sociale”. In attesa che il Ggoverno si appresti a… coniugare, restiamo in fiduciosa attesa!