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Il ghiacciaio è in panne

L’ennesima notizia sugli effetti del cambiamento climatico riguarda un ghiacciaio della Groenlandia, il Petermann, che presenta un’anomala formazione di crepe sulla sua superficie.

Roma – Una notizia che avrebbe dovuto destare preoccupazione. Invece è quasi passata sotto silenzio, perché si è quasi assuefatti a di questo tipo. Ormai si accetta tutta con rassegnazione in una condizione di inerzia continua. Uno dei più grandi ghiacciai al mondo, il Petermann, situato a nord-ovest della Groenlandia, da anni sta suscitando l’attenzione degli scienziati per l’anomala formazione di crepe sulla sua superficie. Un gruppo di ricercatori dell’Università della California e del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA ha pubblicato uno studio sul Petermann, apparso negli atti della National Academy of Sciences.

Com’è noto la NASA è l’agenzia governativa statunitense che si occupa del programma e della ricerca spaziale, mentre il JPL è un centro che si occupa, principalmente, dell’esplorazione robotica dello spazio. È da un bel po’ di tempo che questo ghiacciaio è sotto osservazione, in quanto soggetto a uno scioglimento rapido e visibile. Si sono notate diverse fratture laterali, dette “ice canyon” e, addirittura, una centrale. Questo ha procurato allarme tra gli studiosi, perché il rischio che si corre è di incrociarne un’altra, comparsa in precedenza, e di produrre un iceberg molto grande nel Mar Glaciale Artico. Gli scienziati hanno osservato che la linea del ghiaccio, ovvero l’area in cui la calotta glaciale inizia ad estendersi sopra l’oceano, può subire spostamenti notevoli a causa delle maree.

Veduta aerea del ghiacciaio Petermann.

Questa linea di terra, cioè, può spostarsi tra i 2 e 6 km. Questa è una novità che sovverte la visione precedente. Si pensava infatti che la linea di terra stesse ferma, non si spostasse insieme alle maree. Con questo processo ci si ritrova con un’altra fonte di scioglimento, che potrebbe aumentare l’innalzamento del livello del mare. Ma siccome piove sempre sul bagnato, non è una notizia da prendere sottogamba. Tutt’altro, anzi fa il paio con la constatazione che le temperature dei mari sono cresciute in maniera notevole, come mai in passato. Ora, l’aumento della temperatura dei mari e la relazione ghiacciai-maree rappresentano nuove minacce.

Questi due fattori, potrebbero, insieme, affrettare l’innalzamento del livello dei mari più velocemente di quanto si ipotizzasse. Ed è proprio quello che è successo in Groenlandia, il veicolo di trasmissione del rischio. Infatti, le relazioni ghiaccio-oceano fanno crescere la sensibilità dei ghiacciai al riscaldamento degli oceani, con effetti dannosi facilmente immaginabili. E la situazione è ancora più tragica di quanto appare. I ricercatori hanno affermato che queste dinamiche non sono incluse nei modelli di studio. Se lo fossero, crescerebbero le proiezioni dell’innalzamento del livello dei mari fino al 200%. Numeri che fanno rabbrividire.

Rode Bay, in Groenlandia.

E le istituzioni a livello mondiale cosa fanno? Finora solo “chiacchiere e distintivo”. Si organizzano convegni sul tema, ma di fatti nemmeno l’ombra. Come dimostra la gran mole di dati diffusi da organismi istituzionali e non governativi. Ogni anno sempre peggio. Sembra di essere giunti alla fine del nostro viaggio. L’atteggiamento è quello di chi è pronto ad aspettarsi il disastro. O, tanto per citare Samuel Beckett, drammaturgo irlandese del secolo scorso, che nella sua opera teatrale più famosa Aspettando Godot, pubblicata nel 1952, descriveva una situazione in cui si continua ad aspettare qualcosa che sta per accadere senza fare nulla per evitarla.

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