In Alaska i fiumi cambiano colore. Che succede?

Un fenomeno che gli esperti imputano a diversi fattori, tra i quali ovviamente il temuto, immancabile, riscaldamento globale. E ci sono altri pericoli a cui potremmo andare incontro.

Roma – Tutti più o meno, almeno per sentite dire, conosciamo l’Alaska, lo Stato a nord-ovest del Canada, il più grande per estensione, ma il meno popolato degli Usa. È attraversato da un territorio molto variegato, formato da immensi spazi aperti, grandi montagne e fitte foreste. È popolato da una ricca fauna selvatica e una moltitudine di piccole città.

Qui si può facilmente incontrare l’alce, sciare a piacimento, andare in mountain-bike e navigare i fiumi col kayak. Nel grande Parco Nazionale di Denali sorge l’omonimo monte, che rappresenta la vetta più alta del Nord America. Ebbene questo incantevole posto sta attirando l’attenzione di scienziati, climatologi, naturalisti e geologi. E il motivo non è per lo splendido paesaggio e la natura selvaggia da ammirare e contemplare. Ma per un fenomeno che prima ha incuriosito, poi preoccupato. Ovvero, molti corsi d’acqua stanno cambiando colore, oscillando tra l’arancione e il marrone.

Il cambiamento cromatico dei fiumi in Alaska.

Questo fatto riguarda fiumi famosi per le loro acque cristalline e potabili. Addirittura sta cambiando il ph dell’acqua, che è diventato più acido. Com’è noto il ph è la misurazione che permette di valutare l’acidità o l’alcalinità di ciò che si sta osservando. L’aspetto che ha destato allarme tra gli scienziati è che questi corsi d’acqua, vittime di un processo di deterioramento, sono situati tra l’Arctic National Wildlife Refuge, il Gates of the Arctic National Park and Preserve e il Kobuk Valley National Park. Si tratta di una delle zone più sperdute dell’Alaska. Anche qui, ci ha messo lo zampino il riscaldamento globale.

Gli studiosi ritengono, infatti, che l’innalzamento della temperatura stia consumando lo strato di permafrost. Si tratta di un tipo di terreno perennemente ghiacciato ubicato tra l’estremo Nord Europa, Siberia e America del Nord. Questo terreno, oltre che da ghiaccio, è formato da suolo, roccia e sedimenti. Ma come dice un vecchio adagio popolare: “Sul cotto acqua bollente“, cioè sulla scottatura viene versata acqua bollente! Nel senso che a una disgrazia se ne aggiunge subito un’altra. Infatti, un nuovo studio scientifico ha rivelato che lo scioglimento sempre più accelerato dei ghiacciai del Polo Nord potrebbe “risvegliare” quei virus e batteri rimasti “addormentati” per centinaia, o addirittura milioni di anni sotto il ghiaccio e il permafrost. 

La struttura del permafrost.

Il cambiamento del colore delle acque di fiumi e laghi, potrebbe essere dovuto alla disgregazione del permafrost, che a contato con l’acqua rilascia sedimenti ferrosi, i quali, poi, si ossidano. Questo processo oltre che sul colore può incidere sull’acidità dell’acqua. Il timore maggiore è che non si è in grado di prevedere quali effetti a catena possono innescarsi. L’acqua di questi corsi è, di solito, potabile e in condizioni standard alimenta flora e fauna. L’innalzamento della temperatura, potrebbe avere, quindi, effetti drammatici, con molte comunità che potrebbero trovarsi senza acqua potabile.

Secondo gli studiosi questo quadro non è stato… dipinto solo dal riscaldamento globale. Altri attori hanno contribuito alla realizzazione del capolavoro, come l’estrazione di risorse o lo sviluppo delle infrastrutture. È chiaro che le ricerche andrebbero approfondite per aver un quadro più completo e preciso e stabilire con certezza quali siano i fattori scatenanti. Un fatto è certo: nell’attesa di buone nuove, “Se tutto va bene, siamo rovinati!”, per citare il titolo di un film-commedia degli anni ’80.

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