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Il derby politico sul salario minimo: un tira e molla ridicolo fra maggioranza e opposizione

Le coalizioni di destra e sinistra si scontrano su quello che ormai è diventato il tormentone dell’estate. Eppure stavolta un compromesso non ci starebbe male. Basta con caporali e lavoratori fantasma. Dignità per tutte le occupazioni.

Roma – Il derby tra le coalizioni, di destra e di sinistra, sul salario minimo è arrivato al secondo tempo. La strumentalizzazione politica si manifesta chiaramente quando si raccolgono firme o si organizzano manifestazioni prima di conoscere il risultato o la proposta governativa. Un modo come un altro per coinvolgere il proprio elettorato su dossier che ancora non sono definitivi. Anzi dei quali si è discusso per individuare i punti comuni, più di quelli che dividono. Che sono sempre tanti, se non si vuole raggiungere un accordo. Nel frattempo il centrodestra prende tempo e delega il Cnel ad elaborare una proposta. Il problema è proprio questo.

Il dibattito sul salario minimo incrina il confronto politico

Situazione che certamente esaspera gli animi e non pone le fondamenta per un confronto dialettico costruttivo. Tant’è che alle dichiarazioni baldanzose del M5s e di tutta l’opposizione (schieratasi con la proposta pentastellata avanzata già dalla scorsa legislatura), è intervenuta inaspettatamente la premier, la quale ha posto in risalto il pregiudizio di gran parte dell’opposizione e dei sindacati, affermando che:

“…Quando tu hai uno dei principali sindacati italiani che convoca una manifestazione prima che la legge di bilancio sia scritta – ha assicurato la leader di Fratelli d’Italiasai che non è un tema di merito, ma una opposizione preventiva e pregiudiziale”.

Un modo per avvelenare i pozzi della politica. Criticare, per esempio, l’esecutivo, come ha fatto Landini, perché la gente non può andare in vacanza e soffre, significa soltanto non avere cognizione del problema e di ciò di cui si sta parlando. Pensare che tutto si normalizzi portando la paga oraria a 9 euro è ridicolo. L’aumento può essere solo considerato un atto di rispetto, civiltà e dignità del lavoratore, ma certamente non permetterà di potere andare in vacanza, oppure di affrontare le spese scolastiche dei figli con disinvoltura. Ecco la strumentalizzazione preventiva. L’ingiustizia sociale è, comunque, un dato su cui tutti dovrebbero riflettere, perché è presente nella nostra società e, per molti aspetti, è anche elusa a problema marginale o, se si crede, collaterale. Il mea culpa dovrebbe, però, partire da lontano e non certamente da questa legislatura. Affrontiamolo questo aspetto, senza infingimenti.

L’opposizione e il sindacato criticano il governo

Insomma l’opposizione ed il sindacato, Cgil in primis, incalza il governo come fosse l’artefice dell’indifferenza sociale, mentre nei decenni precedenti, ove il Pd è stato compartecipe di diversi esecutivi, non si è fatto assolutamente nulla. In ogni caso, realisticamente si può parlare di aumento dei salari solo se si riducono le tasse sul lavoro, sia per le aziende che per i lavoratori. Il resto pare pura demagogia. Matteo Renzi, che è in disaccordo sia con la sinistra che con il centrodestra, si scaglia contro il salario minimo e la raccolta firme organizzata dal resto delle opposizioni.

“Niente è così populista come il modo con il quale si è aperto questo dibattito” – afferma il leader di Italia Viva – Il campo largo, da Azione a Rifondazione comunista, passando per CGIL, PD e Cinque Stelle – prima firma Giuseppe Conte – presenta una proposta di legge per istituire il salario minimo a 9€. Ma l’articolo 7 prevede che la Legge di Bilancio dovrà liberare risorse per questo. In soldoni: il salario minimo aumenta i salari a una parte dei lavoratori alzando le tasse agli altri”.

Adesso la volata su questo dossier è partita, senza avere il buon gusto di attendere le proposte del Cnel, per poterle condannare o condividere magari parzialmente. La politica è frutto di visioni, anche differenti e proprio per questo vi deve essere quell’abile regia, che prima veniva identificata con la parola compromesso, che consenta di raggiungere un accordo. Ammesso che si voglia. Altrimenti si getterà in “caciara”, senza peraltro ottenere nulla, ed ognuno griderà allo scandalo individuando come “nemici” coloro che dissentono da una legittima proposta, ma ritenendo opportuno percorrere un’altra strada si ricorrerà all’unico mezzo democratico esistente: il voto parlamentare. In tal modo la disfatta non è più un rischio, ma una certezza.

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