Per medicamento si intende qualsiasi sostanza ad attività biologica che abbia la capacità di modulare funzioni fisiologiche preesistenti alterando lo stato funzionale del sito l'azione su cui agisce. Il cibo non è da meno.
Sono l’unico a praticare la professione di farmacista consulente alimentare, esercizio riconosciutomi dallo Stato italiano e, nonostante questo, continuamente rinfacciatomi nei talk show televisivi, dove mi accusano di essere un farmacista e quindi di non poter parlare a ragion veduta di alimentazione. Tutto questo è paradossale e lo troverei persino divertente se non ci fosse un risvolto tragico per tutte quelle persone che vogliono dimagrire, o non ingrassare, e sono in balia della bufala storica delle calorie. La fortuna di chi si rivolge al sottoscritto sta proprio nel fatto che io non sono un medico dietologo e considero il cibo come se fosse un farmaco.
La farmacologia è la branca della biologia che studia come le sostanze chimiche interagiscono con gli organismi viventi. La definizione di “farmaco” è: “Qualsiasi sostanza ad attività biologica che abbia la capacità di modulare funzioni fisiologiche preesistenti alterando lo stato funzionale del sito d’azione su cui agisce”. Grazie a questa definizione, possiamo dire che il cibo è a tutti gli effetti paragonabile a un farmaco, proprio perché è “una sostanza ad attività biologica capace di modulare funzioni fisiologiche”. Pensate, ad esempio, al vino, capace di alterare diverse funzioni fisiologiche.
Con lo stesso approccio farmacologico con cui ho studiato i processi di sintesi chimica cui il farmaco è sottoposto dall’organismo, dalla sua assunzione alla sua eliminazione, nei miei studi e ricerche ho analizzato come i vari tipi di cibo producano stimolazioni ormonali ed enzimatiche e conseguenti effetti sull’organismo. Mi si è aperto un mondo pieno di affascinanti rivelazioni e qualche sorpresa. La vera rivoluzione è proprio questa: usare il cibo come se fosse un farmaco.
Ippocrate (460 a.C. – 377 a.C.), padre della medicina non commerciale, quello a cui ancora oggi i medici iscritti all’albo prestano giuramento, 2500 anni fa lo aveva capito: “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”. Io insegno alle persone che vengono da me, a curarsi e guarire con il cibo non solo dall’obesità, ma anche dal sovrappeso, dalla cellulite, dall’ipertensione, dal diabete di tipo 2, dalla bulimia. Il sogno di potersi curare con il cibo è una realtà.
Con lo stesso approccio metodologico utilizzato in farmacologia, ho studiato le leggi e i meccanismi con cui un cibo viene assorbito, metabolizzato e poi eliminato dall’organismo, lasciando lungo questo cammino effetti benefici o dannosi a seconda delle circostanze ormonali ed enzimatiche in gioco. Sono leggi che non ho inventato io. Sono riconosciute e riportate in tutti i testi di biochimica, sono scienza. In quest’ottica far riferimento alle calorie è insensato. Nessuno si prenderebbe mai la briga di calcolare quante calorie ha un antibiotico, quello che si va a vedere è il suo effetto metabolico.
Nelle confezioni o nei foglietti illustrativi dei farmaci che comprate non c’è scritto il valore energetico in Kilocalorie o Kilojoule. Eppure basterebbe metterli nella bomba calorimetrica, bruciarli e vedere quanto calore producono. Farlo sarebbe però demenziale, non c’è nessun rapporto con l’azione che esplica il farmaco e il calore che sviluppa se bruciato nella bomba calorimetrica: quello che si valuta è l’effetto biochimico. Lo stesso vale per il cibo. Ho sovvertito il paradigma e messo al centro il ruolo degli ormoni e degli enzimi nel nostro metabolismo, perché qualsiasi alimento ingerito, interagisce con loro, attivandoli o disattivandoli. Lo stesso identico alimento, se ingerito la mattina o la sera, percorre vie metaboliche totalmente differenti e ci può far dimagrire oppure ingrassare.
Lo sport preferito ultimamente è proprio quello di allarmare e allontanare le persone dagli insaccati o dall’olio di palma e chi più ne ha più ne metta. Eppure nessuno sembra essersi posto una domanda tanto semplice: se è vero che alcuni cibi possono danneggiare la salute e diventare causa di diabete, ipertensione, bulimia e altre patologie, non può essere vero anche il contrario? Ovvero, non sarebbe possibile usare diversamente il potenziale del cibo per guarire da alcune patologie? Sì, è possibile, io so come farlo.
Non mi riferisco alle proprietà miracolose di alcune erbe o funghi o secrezioni di serpenti, mi riferisco alla comune bistecca o al piatto di pasta. Mangiare la pasta a cena anziché a pranzo, dopo aver bevuto un caffè dolce o prima di un caffè amaro, può decidere dell’umore depresso di Maria o delle prestazioni amatoriali di Mario. Il cibo può essere usato come farmaco sia per prevenire sia per curare, che per fornire energia chimica e ristabilire l’equilibrio ormonale e di conseguenza psicofisiologico.
Bisogna quindi rivedere il rapporto con il cibo, non solo contemplato come alimento che si assume per piacere, per necessità, per placare l’appetito, per la vita sociale, ma anche e soprattutto come elemento che provoca inesorabilmente delle reazioni biochimiche nel momento in cui interagisce con il nostro organismo. Possiamo tranquillamente asserire che il cibo nel nostro corpo svolge un effetto farmacologico, intervenendo con potenza e precisione sul nostro stato di salute, aggravandone o migliorandone le condizioni. È questa presa di coscienza che manca all’uomo. Voglio ribadire che nel Viaggio Culinario con Lemme non si rinuncia al piacere del cibo, ma si esalta il suo gusto, associandolo alla ricerca biochimica del benessere fisico e psicologico.
Mi guardate con scetticismo, con la condiscendenza che si riserva ai matti. Eppure io vi sto parlando con cognizione di causa, perché la causa, che è biochimica, la conosco perfettamente. Si tratta di scienza, non fantascienza. Il mio motto è: “Dio ti ha creato, Lemme ti modella”. Sono un bioscultore. Il mio scalpello è il cibo, la materia che modello è vivente.