Secondo l’Istat la quota nel 2023 è stata del 16,1%, mentre nel 2022 era del 19,0%. Ma dietro di noi c’è solo la Romania con il 19,3%.
Roma – I Neet manifestano un divario anche tra aree metropolitane e periferiche. C’è un acronimo che è talmente diffuso da essere diventato un suono quasi giocoso, uno sberleffo. Succede quando una parola viene ripetuta o sentita migliaia di volta al punto che si rischia di neutralizzare, in parte, il significato originario. Si tratta dei NEET (Not in Education, Employment or Training), ovvero giovani tra i 15 e 29 anni che non studiano e neppure sono inseriti in un percorso lavorativo. Ebbene, sono in calo secondo l’ISTAT, come emerge dal rapporto pubblicato lo scorso 17 luglio “Livelli di istruzione e ritorni occupazionali, anno 2023”. Infatti la quota nel 2023 è stata del 16,1%, mentre nel 2022 era del 19,0%, attestandosi ad un valore inferiore a quello del 2007, 18,8%. Tuttavia, non è che ci sia tanto da festeggiare, in quanto dietro di noi abbiamo solo Romania con il 19,3%.
Si resta molto lontani dalla media europea, 11,2%. Come al solito, il Mezzogiorno recita la parte della pecora nera. I NEET, infatti sono superiori al resto del Paese. I laureati giovani italiani sono in aumento, ma anch’essi lontani dalla media europa, che si attesta rispettivamente al 30,6% e al 43,1%. Una caratteristica molto interessante dei NEET è la disparità tra aree urbane e periferiche. Infatti, solo il 9,6% del NEET delle aree rurali è in possesso di un titolo terziario, contro il 65,3% delle aree urbane. E’ una differenza notevole emersa da una ricerca a cura del CNG (Consiglio Nazionale dei Giovani), dall’emblematico titolo: “Perso nella transizione: Motivazioni, significati ed esperienza dei giovani in condizione di Neet: un confronto tra aree metropolitane e aree interne”. Dallo studio sono emerse notevoli differenze tra le due aree relative alle opportunità di accedere all’istruzione, autonomia economica, attivazione sociale e politica e, infine, interazioni sociali. I comportamenti dei giovani sono eterogenei e molto vari.
Si passa da un frenetico attivismo allo scopo di avere più opportunità, ad una lunga stasi causata da un mercato del lavoro che offre solo precarietà. E’ emerso che nelle città, all’incirca il 50% dei NEET ha espresso una certa indipendenza economica, attraverso cui, spesso, è riuscito a non dipendere dalla famiglia d’origine. Invece, in provincia, i NEET sembrano non essere riusciti a tagliare il cordone ombelicale dalla famiglia. Dal punto di vista dell’attivazione sociale, politica e di attività economiche in grado di generare reddito, nonostante la scala ridotta della loro dimensione, le tecnologie semplici, lo scarso capitale iniziale, le diversità sono ragguardevoli tra le due aree. In città i NEET hanno manifestato vivacità imprenditoriale e un buon livello di partecipazione a reti politiche e sociali. Secondo gli autori della ricerca, il modo in cui i NEET sono visti dall’opinione pubblica è fuorviante.
Molti, infatti, si sono dati da fare nel seguire percorsi di formazione professionale, riuscendo, finanche, ad avere un piccolo gruzzolo derivato da lavori occasionali o online. I decisori politici diverrebbero essere consapevoli delle disparità manifestatesi. Nelle aree periferiche del Paese la mancanza di occasioni lavorative provoca una prevalente inerzia e fatalismo. Quindi, è auspicabile decisioni mirate, atte a offrire supporto alle iniziative dei giovani NEET. Poiché è un problema generale, è urgente una politica condivisa e certa tra le istituzioni europee, nazionali e globali, perché ogni giovane è una risorsa per il futuro, per sé stesso e per la collettività!