Ultimamente, in quell’immensa prateria virtuale che sono i social ed il web in genere, si sente discutere di filtri. Sono un bene o un male?
Roma – Si tratta di dispositivi che sono dotati di funzioni di trasformazione o di accomodamento di immagini, suoni, paesaggi. Una sorta di maquillage per mascherare alcuni aspetti ed esaltarne altri. Un po’ come fece nel lontano 1994 l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, quando prima di registrare in tv il famoso messaggio che sancì la sua discesa nell’agone politico, si coprì il capo con una calza per minimizzare alcune imperfezioni.
Certo che da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, sembra quasi preistoria rispetto alla tecnologia odierna! Il filtro che va per la maggiore è “Bold Glamour” su TikTok ed è stato sviluppato grazie all’Intelligenza Artificiale (IA) ed è in grado, ad esempio di trasformare i volti degli utenti e di aggiungere nitidezza al viso e alla carnagione. Secondo gli esperti il suo clamoroso successo è dovuto al fatto che riesce a contenere gli eccessi dei suoi trucchi, anche se, comunque l’immagine di sé stessi che propone tende, comunque, alla perfezione. Ed è quest’aspetto che suscita preoccupazioni.
Alcuni psicologi ritengono che questi mezzi possano incidere sulla propria autostima e il senso di sé. Su come, cioè, ognuno vede sé stesso, in rapporto all’immagine che appare sui social. Questo rapporto conflittuale tra come ci si vede e come il trucco trasforma alla lunga può avere effetti deleteri, tipo una nuova forma di dismorfismo corporeo. Si tratta di un disturbo psichiatrico che i manuali
definiscono come un’eccessiva preoccupazione per un difetto fisico non presente o solo leggermente osservabile dagli altri. Il filtro non è un’enfatizzazione della realtà, ma una sua sostituzione vera e propria, che non si sa bene cosa sia. Inizia con noi ma poi se ne va per conto suo. E la nostra immagine verosimile, perfetta ma stereotipata e, comunque, plausibile, proprio perché è un filtro senza caratteristiche fumettistiche di cui ne sono dotati altri.
Su quest’argomento il dibattito è molto accesso sia tra i creator che tra gli influencers, come succede quando si contrappongono i favorevoli tout-court e i catastrofisti che vedono tutto nero. I creator sono figure professionali che creano contenuti per il web sia per le aziende con cui lavorano o per sé stessi. Gli influencers sono persone, spesso famose, che hanno un grande ascendente in chi li guarda e sono in grado di indirizzare in maniera positiva gli utenti su un prodotto o servizio. Più che estremizzare i concetti in un senso od in un altro bisognerebbe attenersi ai dati di fatto.
Già nel 2017 in una ricerca pubblicata su “Cognitive Research” (Ricerca Cognitiva) veniva messo in evidenza che gli utenti hanno consapevolezza di un’immagine manipolata 6-7 volte su dieci. Stiamo parlando solo di 6 anni fa, eppure il livello di conoscenza dell’IA non aveva ancora raggiuto i livelli attuali. Probabilmente oggi il numero di coloro che si rende conto delle manipolazioni delle immagini risulterebbe inferiore. Cognitive Research si occupa di ricerca di informazioni da dataset (insieme di dati) che utilizza il machine learning (branca dell’IA ed è un metodo di analisi dei dati che automatizza la costruzione di modelli analitici) e l’IA per accrescere la velocità del processo e la pertinenza del risultato.
Inoltre, sono tanti gli studi di ricercatori indipendenti, da cui emergono gli effetti sulle persone e si tratta di ansia, depressione, eccessivo confronto sociale e modelli di bellezza. Una volta si diceva: “Il trucco c’è, ma non si vede” riferito alla bravura di qualche prestigiatore. Oggi, invece, si può affermare che: “Il trucco c’è e si vede pure, ma se ne accorgono in pochi!”