I costi dell’energia cominciano davvero a spaventare. Le imprese rischiano il default ed avere un non-governo non aiuta. Nei prossimi giorni dovrebbero essere varati i primi aiuti ma le speculazioni rimangono al palo.
La stangata energetica farà storia. Gli ultimi tempi saranno ricordati infatti come quelli delle bollette con cifre da capogiro. Indubbiamente è il problema principale per famiglie e imprese alle prese con i conti da far quadrare. L’esecutivo nel giugno scorso, non ancora dimissionario, aveva approvato il cosiddetto “decreto bollette” con un sostegno di 3 miliardi di euro per contenere i costi di energia elettrica e gas. Tra le misure, l’annullamento delle aliquote relative agli oneri di sistema delle utenze domestiche e non. Quest’ultimi comprendono una serie di corrispettivi a carico dell’utente destinati alla copertura di interesse generale per il sistema elettrico o per il gas.
Secondo Confesercenti (associazione che rappresenta le imprese italiane del commercio, del turismo, dei servizi, dell’artigianato e della piccola industria), questi interventi seppur lodevoli non saranno sufficienti a fermare lo “tsunami d’autunno”, ovvero la stangata finale. Tra i tanti, ci sono alcuni settori merceologici particolarmente vulnerabili. Ricordiamo i bar, l’acciaio, la ceramica, la carta. Ma ce ne sono altri a rischio. I rappresentanti di queste categorie hanno chiesto al governo uscente e a quello che verrà misure urgenti, non rinviabili. Come un price cap (tetto ai prezzi). Si tratta del controllo dei prezzi dei beni e dei servizi offerti dalle public utilities.
Questo strumento permette che i prezzi non possono superare un valore calcolato sottraendo al tasso d’inflazione sui beni di consumo una minima quota di aumento della produttività. I dati diffusi da Confesercenti ci informano che sarebbero ben 90mila le imprese che rischiano di chiudere i battenti, col 10% sull’orlo del default. Gli aumenti previsti oscillano anche fino al 140% nel prossimo anno. Oltre a luce e gas, sulle aziende pesa anche l’aumento dei prezzi delle materie prime.
Sono a rischio quasi 250mila posti lavoro. Alcuni dati sono più significativi di qualsiasi discorso per esprimere la drammaticità della situazione. Ad esempio, una nota di Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) ha stimato che un albergo medio vedrà schizzare i costi dell’energia, nei prossimi 12 mesi, fino al 120% in più, con un 10,7% di incidenza sull’utile d’impresa. Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, ha dichiarato:
“…Uno degli interventi nell’immediato è il credito di imposta per l’energia elettrica alle piccole imprese. Inoltre, prorogare gli interventi statali almeno fino a fine anno. Infine, bisogna diversificare le fonti e favorire con un bonus al 100% gli investimenti di chi è in grado di produrre energia pulita per rendersi autonomo…”.
Ora è chiaro che è urgente, adesso e non dopo, un intervento politico per calmierare i prezzi, se non si vuole che dal malcontento si passi alla sommossa. Però qualche distinguo va fatto. La situazione che stiamo vivendo non è arrivata all’improvviso, non è colpa del destino cinico e baro. Ma di precise scelte economiche e politiche scellerate. Che le risorse energetiche erano in netto calo lo si sapeva da anni, eppure sulle energie alternative non si è investito abbastanza, così come sull’economia circolare. Mentre le grandi imprese del settore energetico hanno visto aumentare il loro fatturato fino al 60%, pagando pure pochissime tasse.
Non si pretende uno Stato esoso e sanguisuga, ma in momenti storici particolarmente difficili, come l’attuale, sarebbe cosa buona e giusta che gli extra profitti possano essere tassati con aliquote più alte, proprio per equilibrare il sistema e redistribuire in maniera più equa la ricchezza. In una Nazione civile e democratica si farebbe così. Noi lo siamo? I dubbi della ragione sono tanti, ma si dice anche che “la speranza è l’ultima a morire”!