“Gender pay gap”: donne laureate guadagnano sempre meno dei maschi

Il mondo femminile con voti e titoli più alti percepisce il 58% di quello degli uomini, mentre la media europea si aggira sul 17%.

Roma – Sei donna e pure laureata? Allora guadagni meno della metà dei colleghi maschi! E’ un tasto dolente della nostra struttura sociale: le donne laureate percepiscono retribuzioni equivalenti a meno della metà dei colleghi maschi. A confermare questo dato, il recente rapporto dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), in cui emerge un elevato “gender pay gap”. Eppure le laureate sono in numero maggiore dei maschi e con voti superiori, percepiscono il 58% di quello maschile, mentre la media europea si aggira sul 17%. Una differenza notevole che rappresenta un record, di cui avremmo fatto volentieri a meno.

Oltre ad ottenere valutazioni più alte, le donne hanno il 28% in meno di probabilità di ripetere un anno scolastico. Inoltre, riescono maggiormente a terminare con ottimi risultati i programmi scolastici e universitari. Eppure, malgrado questi requisiti, per le donne il mercato del lavoro continua ad essere una corsa ad ostacoli. Oltre alla disparità di genere, ne esiste un’altra altrettanto subdola quella, economica. I bambini delle famiglie a basso reddito, nei fatti hanno un fardello costituito dal 16% in meno di probabilità di iscriversi all’istruzione primaria e all’assistenza della prima infanzia prima dei 3 anni. Se ne deduce che nell’istruzione primaria e secondaria, coloro che hanno un retroterra socioeconomico sfavorevole, producono risultati negativi. Un’altra peculiarità, una sorta di nostro… fiore all’occhiello, è costituita dalla dispersione scolastica, un fenomeno atavico e annoso per il Belpaese. Malgrado il calo del 6% rispetto al 2016, si resta sempre abbarbicati al… primato. Nella fascia di età tra i 25 e 34 anni, la quota è del 20%, mentre negli altri Paesi è del 14%. Secondo gli autori del report, la criticità maggiore è che la famiglia originaria ha un peso notevole sul successo a scuola e nel lavoro. Essere “figlio di”, conta eccome in questo disgraziato Paese!

Quasi il 70% dei 25-64enni con almeno un genitore laureato, porta a termini studi similari. Stranezza dei numeri o della realtà, il 37% degli adulti con genitori senza un titolo di studio secondario superiore, segue la… tradizione e non consegue alcun titolo di studio secondario superiore. Un risultato positivo, comunque, l’Italia l’ha ottenuto: è diminuita la percentuale di NEET. Un acronimo divenuto noto, nonché famigerato. Ovvero: Not in Education, Employment or Training. E’ un Indicatore atto a individuare la quota di popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione. Ebbene nel 2016 era del 32%, nel 2023 del 21%. Un bel taglio, non c’è che dire. In dettaglio, la quota di ragazzi di questa fascia d’età senza un titolo di studio secondario superiore si è abbassata al 6% dal 2016 arrivando al 20% del 2023. Nonostante questo percorso, resta al di sopra della media OCSE, il 14%. Il tratto negativo caratteristico delle istituzioni politiche italiane è rappresentato dal fatto che l’istruzione viene considerata marginale e vista alla stregua di un accessorio. In Italia, infatti, si investe poco, in maniera farraginosa e senza avere una “vision” che possa indirizzare una serie programmazione.

La media di investimenti nei Paesi OCSE è del 4,9%, la nostra del 4,0%. In pratica, la quota del PIL (Prodotto Interno Lordo) investita per l’istruzione (dalla scuola primaria all’Università), è stata stabile (5%) nel periodo tra il 2015 al 2021 tra i Paesi membri. Nel nostro, pur essendo la quota di PIL restata costante (4%), ha applicato la “politica del gambero”, nel senso che la spesa più sostanziosa è stata fatta per le elementari, per poi andare in retromarcia, abbassandola alle medie inferiori e superiori per poi sparire, o quasi, all’Università. Una società che crea discriminazioni di genere o di classe, senza premiare il merito, è destinata a perire! 

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