Alberto Stasi si è sempre professato innocente ma la Suprema Corte ha scritto la parola fine sull'omicidio di Chiara Poggi. I dubbi rimangono sia sulle indagini che sull'iter processuale.
Garlasco – Dalla sua cella Alberto Stasi reitera a gran voce la sua innocenza ma ormai non c’è più nulla da fare. Gridare è inutile, nonostante i dubbi e le perplessità che gravano sull’inchiesta prima e sui processi dopo che hanno visto alla sbarra Stasi nella doppia veste di colpevole e innocente a seconda dei gradi di giudizio.
La Cassazione ha scritto la parola fine alla vicenda giudiziaria di Alberto Stasi, condannato a 16 anni di reclusione per l’assassino della fidanzata Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco, in provincia di Pavia.
Per gli Ermellini non ci sono nuove prove per riaprire e riesaminare il caso, nonostante nel dicembre scorso l’avvocata Laura Panciroli avesse presentato l’istanza, sostenendo che fossero stati individuati e sottoposti al vaglio della Corte di Appello di Brescia nuovi elementi mai valutati prima, in grado di escludere una volta per tutte ogni responsabilità del suo assistito.
Un delitto efferato e di grande eco mediatica che ha scosso non solo il pase di 10mila anime immerso fra le risaie della Lomellina ma tutta Italia. Una lunga e tortuosa vicenda dall’iter processuale controverso durato ben 10 anni, che ha visto una sentenza di assoluzione il 17 dicembre 2009 poi confermata dalla Corte di Assise di Milano il 6 dicembre 2011 e culminato, infine, il 12 dicembre del 2015 con la condanna definitiva di Stasi.
Ma chi avrebbe voluto così male a Chiara da toglierle la vita quella maledetta mattina di un giorno prossimo al ferragosto del 2007 nella sua villetta al civico 8 di via Pascoli, mentre i familiari si trovavano in vacanza in Trentino?
Le indagini, nel bene e nel male, hanno dimostrato quanto la ventiseienne fosse una ragazza con la testa sulle spalle, senza scheletri nell’armadio, che lavorava sodo come stagista presso uno studio commerciale di Milano e molto innamorata del suo fidanzato. Anche lui sembrava un ragazzo apparentemente tranquillo, iscritto alla facoltà di Economia della Bocconi, prossimo a ultimare la sua tesi di laurea.
Eppure, soprattutto per i media, Stasi diventerà ”il biondino con gli occhi di ghiaccio”, per la sua freddezza dinanzi al corpo senza vita della sua compagna. Un comportamento ambiguo che spaccherà l’opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti, come avviene in questi casi. Eppure l’assenza di segni di effrazione negli ingressi dell’abitazione dimostrava che Chiara conoscesse bene il suo carnefice, tanto da disattivare l’allarme alle 9.12 ed aprire la porta di casa con il pigiama rosa ancora indosso.
Una volta entrato, l’assassino la colpiva al volto e al capo con un oggetto contundente – mai ritrovato – trascinandola, mentre grondava sangue, fino alla porta di accesso alla tavernetta del piano seminterrato, per poi infliggerle altri colpi alla nuca in cima alle scale che conducono alla cantina. La povera vittima restava in vita 30 minuti, come dimostrato dagli esami autoptici, salvo poi spirare in una pozza di sangue per le profonde ferite riportate alla testa.
A dare l’allarme sarà proprio Alberto. Poche parole, pronunciate con distacco. Scongiurata l’ipotesi di furto, il giovane veniva convocato e interrogato per 17 ore, diventando l’indiziato unico del processo. La sua vita veniva passata al setaccio, pc compreso. Dalle analisi svolte sul dispositivo, risulterà che Alberto aveva lavorato alla sua tesi dalle 9.36 alle 10.17 e successivamente fino alle 12.20, lasciandolo da quell’ora in stand by.
Ma c’era dell’altro, come la cartella denominata ”Militare” che raccontava della sua passione per la pedopornografia e le oltre 10mila foto di donne coinvolte in atti di natura sessuale piuttosto raccapriccianti, talvolta anche con minori, scovate l’indomani del suo arresto dai carabinieri. Lo stesso pc lasciato dal ragazzo a casa di Chiara, la sera del 12 agosto, quando si era dovuto assentare per un breve lasso di tempo.
In ogni caso il principale elemento indiziario a carico di Stasi rimane il ”l’assenza di tracce ematiche sulle scarpe” nonostante abbia attraversato la scena del crimine. Un numero 42, rilevato dai Ris di Parma, corrispondente alla stessa misura del piede di Alberto che, a seguito di un raddrizzamento fotogrammetrico di un paio di Geox modello City della stessa calzata indossato dall’indiziato durante il processo di primo grado, confermeranno la compatibilità con la dimensione delle suole rinvenute nella villetta dei Poggi.
Altro elemento chiave del processo che determinerà la colpevolezza del commercialista sarà la famosa bicicletta nera da donna avvistata all’esterno dell’abitazione e confermata da due testimoni. Era quella di Alberto? Le indagini confermeranno che il ragazzo possedeva quattro biciclette da donna e che quella nera montava pedali ”Union” che di serie sono invece rinvenibili sulla ”Umberto Dei” da uomo con cui lui era solito spostarsi.
La sostituzione appare scontata. Non dimentichiamoci anche dell’impronta digitale dell’anulare del giovane lasciata sul dispenser del sapone liquido nel bagno al piano terra di casa Poggi segnato da residui del Dna di Chiara e del capello chiaro, privo di bulbo e, di conseguenza, di materiale genetico, trovato nella mano sinistra del cadavere.
Richieste che ogni volta riaprono laceranti ferite nei genitori della povera Chiara che dopo cinque processi e il responso negativo della Cassazione sperano di mettere la parola fine ad un caso che, sino a prova contraria, non lascerebbe dubbi sulle responsabilità dell’assassino.